Giornalista di fama internazionale e “diarista” da sempre, totalmente immerso negli avvenimenti della sua epoca, Saverio Tutino (1923-2011) è stato uomo controcorrente, inquieto, forse l’unico giornalista europeo che con le sue corrispondenze e pubblicazioni abbia scandagliato dall’interno le specificità e i limiti sia della rivoluzione castrista sia delle guerriglie latinoamericane. Sono gli anni in cui la rivoluzione cubana pone il problema della conquista del potere per la costruzione del socialismo come compito irrinunciabile delle sinistre latinoamericane, ma sono anche gli anni della rivoluzione al potere. Non è un caso che Tutino si leghi così tanto prima alla lotta di liberazione algerina e poi alle vicende sudamericane di quel periodo, seguendo quella prospettiva rivoluzionaria che lo aveva segnato sin da giovane, convinto della necessità del cambiamento rivoluzionario, per dirla con le parole di Ernesto Che Guevara. Tutino guarda «all’aspetto enigmatico della rivoluzione al potere», a lui interessa «il presente e in esso il futuribile del socialismo», perché è convinto che il Socialismo sia «la sola speranza di un mondo migliore», ovvero l’«oro introvabile».
È sempre alla costante ricerca di un modus vivendi “altro”, di una condizione personale diversa, rispetto a quella raggiunta; contagiato da quella che l’antropologo e suo amico Pietro Clemente ha definito la “frenesia del vivere”, che Tutino incoraggia incessantemente laddove intravede orizzonti rivoluzionari. Attraversa gli anni della guerra fredda, un’epoca soggetta «a una specie di terremoto sempre latente», e che gli crea un «disequilibrio permanente». Il Tutino “latinoamericanista” è un’anima inquieta, un rivoluzionario alla ricerca della “propria” rivoluzione. Come ha efficacemente tratteggiato Oliviero Beha, Tutino intendeva la politica «sempre e comunque come il tentativo di ridisegnare meridiani e paralleli di un mondo da rifare».
Sin dal 1950, l’anno del viaggio nella Cina di Mao Tse-tung insieme a una delegazione giovanile del Pci, per Tutino diviene un compito morale iniziare a raccontare i popoli dei Paesi emarginati. Il suo raggio di azione spazia su quasi tutto il continente sudamericano. In quell’America Latina a cui si lega profondamente e che descrive come il villaggio di Macondo: «tutto è dieci volte più misero e più ricco; più disgraziato e più violento, più innamorato della libertà e più schiavista che in Europa».
“L’altrove” di Tutino è ad Algeri, a L’Avana, a Città del Messico, a Santiago del Cile, a Bogotà, a Managua, a Buenos Aires, a El Salvador, a Lisbona, a Mogadiscio.
È tra i primi giornalisti europei a raccontare l’orrore della repressione del regime di Augusto Pinochet e a svelare il volto repressivo della dittatura argentina parlando delle liste di condannati a morte predisposte dai militari. Segue le guerriglie latinoamericane, i movimenti di liberazione africani e la rivoluzione “dolce” dei portoghesi.
Figura eclettica, Tutino è personaggio – inconsapevole – da spy story. Commissario politico della 76ma Brigata Garibaldi durante la Resistenza, poi iscritto al Partito comunista italiano, legato alla rivoluzione cubana e interlocutore riconosciuto da Fidel Castro. Comunista inquieto, curioso, indisciplinato, antidogmatico. Mai ideologo pedante o teorico astratto.
Nei primi anni Sessanta trait d’union tra il Pci e il governo rivoluzionario cubano, frequenta gli intellettuali del suo tempo. Amico di noti guerriglieri rivoluzionari latinoamericani e di dissidenti, viene sorvegliato dai servizi cubani, così come da quelli italiani per i suoi legami con Giangiacomo Feltrinelli e con esponenti delle forze extraparlamentari di estrema sinistra.
Tutino fa parte di quella schiera di giornalisti – intellettuali – militanti che a partire dagli anni Sessanta e Settanta hanno fatto scoprire e raccontato al Vecchio continente le viscere profonde dell’America Latina. Mi riferisco, in particolar modo, a Sergio De Santis, Aldo Garzia, Gianni Minà, Italo Moretti, Alessandra Riccio, Livio Zanotti. Penne, cuori e teste che hanno attraversato in lungo e in largo il subcontinente, vivendolo intensamente e trasmettendo quella costruttiva curiosità per l’America Latina che generazioni di studiosi ancora coltivano. Spesso le loro vite si sono incrociate, come nel caso di Gianni Minà, che ha raccontato come nel 1986 Tutino lo aiutò «a mettere giù tutte le domande possibili che un giornalista onesto avrebbe voluto avere a disposizione il giorno che avesse potuto avere davanti Fidel Castro», che all’epoca riceveva duemila richieste di interviste all’anno. Castro poi accettò di essere intervistato da Minà e ne venne un’intervista fiume di sedici ore, raccolta nel volume Un encuentro con Fidel (La Habana, 1987). L’amicizia tra i due giornalisti è confermata nei ringraziamenti di Minà, dove si legge «a un collega e amico come Saverio Tutino che mi ha illustrato e chiarito alcuni aspetti dell’universo cubano, aiutandomi a preparare, per quanto possibile, un’intervista non superficiale».
D’altronde l’unico metodo che Tutino da giornalista e da uomo politico conosce per raccontare gli eventi è «stare dentro alle cose, scoprirle dall’interno, senza mai accettare le versioni ufficiali, quelle di comodo», come ha sottolineato la voce storica di Radio3, Guido Barbieri, nel podcast Il testimone, a lui dedicato in occasione del centenario della nascita. È proprio questa capacità “immersiva” che lo fa diventare il più popolare inviato del quotidiano La Repubblica, ricorderà il suo amico e collega Giorgio Frasca Polara. Sempre in eterno movimento, spinto da una insaziabile curiosità. Anche Aldo Garzia ha sottolineato che in Italia, citare Tutino significava parlare di Cuba. E quando si parlava di Cuba erano immancabili i riferimenti alle sue riflessioni e anche alle sue critiche: «Sì, lo ammetto, io sono stato forse il maggiore responsabile della creazione del mito cubano in Italia, il mito di una società giusta ed egualitaria. Mi sono sbagliato e ho pagato quello sbaglio. Il mito nasce quando un uomo politico lo crea intorno a sé. E tra tanti difetti, bisogna riconoscere a Castro di essere un politico di notevole calibro. Ha capito che la politica si fa con i miti e non con i decreti».
Sia chiaro che Tutino rimarrà sempre legato, specificherà «attaccato», alla Cuba che amava, quella che aveva dato la “scalata al cielo”. Il suo giudizio rappresenta sì una cesura, ma frutto di una bruciante delusione umana e politica per un socialismo «di vetrina» finanziato dall’Unione Sovietica che mai divenne Socialismo, che ai suoi occhi rappresentava «la sola speranza di un mondo migliore». L’analisi tutiniana eccettua dalla crisi mondiale del comunismo, ma si focalizza sulla peculiare esperienza cubana, che ha vissuto in prima persona sulla propria pelle, e che descriverà come «il ricordo più bello della mia vita».
Il libro di Andrea Mulas e il Premio Pieve Saverio Tutino
Andrea Mulas, storico e saggista, ha scritto L’oro introvabile. Saverio Tutino e le vie della rivoluzione (Il Mulino, in libreria dal 20 settembre). Il libro viene presentato nell’ambito della quarantesima edizione del Premio Pieve Saverio Tutino il 14 settembre alle ore 17 a Pieve Santo Stefano (Piazza Plinio Pellegrini). Coordina l’incontro Guido Barbieri, letture di Donatella Allegro e Andrea Biagiotti. Il Premio nasce nell’ambito dell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano che dal 1984 conserva i diari, le memorie e gli epistolari degli italiani e ha raccolto fino ad oggi circa 9mila storie di vita. Ideato e fondato da Saverio Tutino, l’Archivio è non solo un centro per la raccolta di testi della scrittura popolare, ma anche e soprattutto un luogo di riflessione sulla memoria e sulla storia del nostro Paese. Quarant’anni dopo è il titolo della rassegna del 2024 che vuole celebrare il patrimonio dell’Archivio tra presentazioni di libri, mostre, spettacoli, letture. Il Premio Pieve Saverio Tutino sarà assegnato il 15 settembre. Sono otto i finalisti: storie di guerra, di lavoro, di violenza e sopraffazione sulle donne, attraversano tre diari, tre memorie, due autobiografie tra i quali sarà nominato il vincitore, offrendo uno spaccato della società italiana del passato ma sempre attuale. Nell’ambito dell’Archivio diaristico è stato istituito anche il Premio Tutino giornalista che quest’anno è dedicato a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. La cerimonia di premiazione è il 13 settembre (ore 15) alla quale partecipano Hassan Ahamed, Francesco Cavalli, Maurizio Mannoni, Alessandro Triulzi e Walter Verini (si può seguire in diretta streaming sui canali social dell’Archivio qui e qui).
Nella foto: Saverio Tutino, frame di una intervista del 1987