Scuola, la scienziata e consulente sia per le Indicazioni del ministro Tullio De Mauro che per quelle nazionali del 2012 racconta il metodo seguito, incentrato sul processo di apprendimento
«Le Indicazioni nazionali non volevano essere dei programmi, era il processo di apprendimento che contava. La differenza sostanziale tra allora e oggi sta proprio qui: il fatto di avere degli obiettivi da raggiungere e non delle nozioni da imparare». Maria Arcà, biologa, saggista, ha collaborato per anni con circoli didattici, enti locali (tra cui i Comuni di Modena e Torino) e ha partecipato con il ministro De Mauro nel 2000 alla stesura delle indicazioni legate al riordino dei cicli scolastici e alle Indicazioni nazionali del 2012 (Scienze e Infanzia) con il sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria e il ministro Profumo.
È notizia di questi ultimi mesi la decisione del ministro Valditara di cambiare le Indicazioni nazionali atraverso una commissione (presieduta da Loredana Perla, v. articolo di Diana Donninelli) composta essenzialmente da pedagogisti. Che ne pensa Maria Arcà? «Sì, il ministro si è fatto una corte di pedagogisti, mentre noi invece eravamo dei disciplinaristi, cioè sapevamo perfettamente quali erano le difficoltà e gli obiettivi tecnici da raggiungere». La scienziata fa un esempio: «Vuoi parlare del fegato? Non si può farlo come fosse un evento isolato. Il fegato deve essere coordinato e corredato con tutto il resto del funzionamento del corpo, altrimenti non significa niente. Oppure vuoi parlare del piano cartesiano? Il piano cartesiano ha un senso se tu impari a ragionare sul concetto di variabile e rappresentazione di variabile, strutture rappresentative, interpretazione dei dati, dei grafici, delle figure. Tutto questo, uno che non è disciplinarista non lo sa, per ragioni, diciamo, di formazione».
La decisione di Valditara di mettere mano alle Indicazioni sembra proprio un guardare al passato. E infatti Maria Arcà legge questa iniziativa del ministro come «un bisogno di ritornare a quello che ai miei tempi si chiamava programma, anche se a farlo più che gli insegnanti sono le case editrici che, con autori che magari riprendono testi di altri, scrivono il sussidiario, lo vendono ed è fatta finita. Le Indicazioni a cui ho partecipato, nella loro ambizione, volevano: primo, rispettare l’autonomia dei docenti, secondo, mettere dei traguardi finali».
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