Lo scontro tra politica e magistratura non è solo uno sfilacciamento dell’equilibrio democratico di uno Stato. Quando il potere così violentemente scredita qualcuno lo indica come bersaglio agli arrapati violenti

“Magistrato militante e corrotto spero che qualcuno ti spari molto presto, sarà un giorno di gioia e festa”. E ancora: “la toga rossa Albano fa politica e non fa trattenere i clandestini in Albania”.

Sono decine di messaggi arrivati nella casella di posta della giudice Silvia Albano, uno dei sei magistrati della Sezione specializzata sui Diritti della persona ed immigrazione del Tribunale di Roma che si sono espressi nei giorni scorsi sui provvedimenti di trattenimento in Albania. 

I molto furbi hanno pensato che fosse una buona idea minacciare di morte via mail, con la solita insipienza dei violenti infoiati da questo clima destrorso. 

Albano si aggiunge ai pubblici ministeri del processo Open Arms, in cui è imputato il vice presidente del Consiglio Matteo Salvini, che si sono visti assegnare la scorta per le minacce di alcuni esagitati di cui non è nemmeno troppo difficile immaginare la provenienza politica. 

Lo “scontro tra politica e magistratura” che ha tenuto banco per qualche giorno sulle prime pagine dei giornali non è solo uno sfilacciamento dell’equilibrio democratico di uno Stato. Quando il potere così violentemente scredita qualcuno lo indica come bersaglio agli arrapati violenti che in questi anni sono stati nutriti dalle bestie social di qualche leader mistificatore.

Così gli elettori pompati dalla propaganda truculenta si convincono che sia cosa buona e giusta difendere il proprio leader minacciando di morte il nemico del giorno. Quello denuncia, il leader controvoglia esprime solidarietà per il minacciato e l’elettore rimane incastrato in una bella denuncia irrimediabilmente solo. Come un fesso tradito. 

Buon venerdì.