No, non ha parlato con i giornalisti. Giorgia Meloni ieri si è accodata nel salotto di Bruno Vespa, che ha la qualità che piace più al potere: l’accondiscendenza. Ospite di Porta a Porta, ha potuto quindi esibirsi nella sua formula di conferenza stampa preferita, il monologo rabbioso accompagnato dai “sì, sì” ciondolanti del conduttore.
Tra una piccata rivendicazione e l’altra, la presidente del Consiglio ha raccontato di aver ricevuto minacce di morte dai «trafficanti» per la sua strampalata idea di piantare un centro di permanenza per il rimpatrio in Albania, dove stamattina agenti delle forze dell’ordine italiane stanno giocando a carte dopo una lauta colazione.
Una minaccia di morte a una capa di governo dovrebbe essere una notizia che monopolizza i sommari di tutti i media. Non accadrà, ed è un peccato, perché consentirebbe una volta per tutte di comprendere chi siano per la premier i cosiddetti «trafficanti» contro cui rumorosamente si arrabatta dall’inizio della legislatura.
Siamo convinti, insieme a molte organizzazioni internazionali, che la linea di comando dei «trafficanti» sia composta dagli stessi travestiti da politici che Meloni pomposamente incontra, dai ministri libici fino al premier tunisino. Avere le generalità del minacciante e il suo ruolo ci permetterebbe di sapere se stiamo parlando delle stesse persone, delle stesse responsabilità.
Non possiamo non notare, comunque, come Meloni sia solitamente prodiga di pubblico vittimismo anche solo per una scritta su un muro, e come invece, in questo caso, abbia adottato un insolito riserbo. Quindi, chi sono i trafficanti?
Buon giovedì.