Il governo Meloni, che da oltre due anni è alla guida del Paese, sta rivelando alcuni dei suoi limiti: da un lato, è privo di una strategia efficace per affrontare i problemi economici dell’Italia; dall’altro, manifesta tendenze di compressione dello stato di diritto che rischiano di compromettere le libertà individuali, di limitare il dissenso e ridefinire lo spazio democratico.
Nonostante questo, il consenso al governo non sembra arretrare, forte di un impianto ideale ben radicato nell’immaginario italiano. Si basa su concetti identitari, come il patriottismo nazionalista, la difesa della famiglia tradizionale e un’immagine di governo decisionista. Tuttavia, questi valori spesso risultano incoerenti nella pratica dell’iniziativa governativa.
Il governo, infatti, non sembra avere un piano concreto per contrastare la crisi economica che affligge il Paese. Dal 2022, il settore manifatturiero ha registrato una contrazione significativa, con cali drastici in comparti chiave come quello tessile, metallurgico e automobilistico. Anche l’apparente crescita dell’occupazione è illusoria, poiché molte aziende, piuttosto che investire in innovazione e produttività, hanno preferito puntare su forza lavoro a basso costo.
Davanti a questa crisi, Meloni appare priva di soluzioni reali: il suo esecutivo si è presto allineato alle compatibilità neoliberiste, senza proposte di riforme strutturali, né misure redistributive significative. Le politiche di austerità e il taglio dei servizi pubblici restano invariati, con un crescente distacco degli interessi economici da quelli sociali.
In questo contesto, il governo ha spostato il proprio focus sulle misure di sicurezza e controllo sociale, che comprimono lo spazio delle libertà e dei diritti individuali e aggravano la repressione di comportamenti rappresentati come minacciosi per l’ordine pubblico. È stato così con il decreto Rave e il decreto Caivano. Lo è ancor di più oggi con il disegno di legge 1660.
Il Ddl 1660 o pPacchetto sicurezza” – ma che sarebbe opportuno chiamare ddl “Piantedosi” – rappresenta un salto di scala di questa deriva. Basti pensare alla riformulazione del reato di lesioni lievi o lievissime ad agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, che comporterebbe l’aggravamento delle pene, con l’aumento della custodia cautelare e della cosiddetta “flagranza differita”. Strumenti che rispondono a una concezione autoritaria dei rapporti tra pubblici ufficiali e cittadini, piuttosto che a reali esigenze di garanzia processuale.
L’orientamento complessivo del Ddl 1660 rivela intenti repressivi che non colpiscono solo coloro che adottano comportamenti classificabili come “violenti”: la criminalizzazione del blocco stradale o della resistenza passiva, specie in caso di rivolte nelle carceri o nei Cpr – luoghi in cui le condizioni di vita sono sempre più insostenibili – è infatti concepita per colpire coloro che esprimono dissenso o disagio, anche in modo pacifico.
La deriva autoritaria di Meloni non è isolata e si inserisce in una tendenza globale che spinge gli Stati occidentali verso forme di governance che concentrano il potere e limitano la partecipazione democratica. Il capitalismo contemporaneo sembra poter e voler fare a meno della democrazia per accumulare e prosperare.
Questa evoluzione potrebbe trasformare la democrazia in un retaggio del secolo scorso, sostituendola con un sistema in cui i cittadini diventano spettatori passivi. Le forze alternative, prive di una visione di società, sembrano limitarsi a un’opposizione di facciata, spesso esitanti nel proporre risposte radicali, per paura di apparire troppo estreme.
La battaglia parlamentare offre ancora uno scorcio per tentare di bloccare o apportare significative modifiche al pacchetto sicurezza. Se, però, i numeri della maggioranza saranno schiaccianti, cosa dovrà aspettare l’opposizione per bloccare i lavori parlamentari? Cosa altro deve accadere? In questo senso è importante e sarà fondamentale partecipare e costruire un’opposizione sociale che sia in grado di rivendicare e difendere gli spazi della democrazia.
Perché se il pacchetto verrà approvato, servirà un impegno immediato nel programma di governo delle forze di alternativa per riportare il diritto al dissenso nell’alveo della Costituzione. Accettare la deriva autoritaria vorrebbe dire, infatti, assumersi il rischio che la destra continui, passo dopo passo, a ridurre lo spazio democratico, avvicinando l’Italia a un modello di “post-democrazia” occidentale.
Per approfondire leggi il numero di Left in edicola sul tema del ddl sicurezza
L’autore: Claudio Marotta è consigliere regionale Lazio (Alleanza Verdi e Sinistra Italiana)
In foto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il segretario generale della Nato Marc Rutte