Che la Legge Bossi-Fini sia al capolinea lo sanno tutti. L’immigrazione, del resto, è l’argomento su cui si identificano destra e sinistra in ogni Paese, è il perno su cui gira in ogni latitudine uno dei temi sociali più divisivi della nostra epoca. Per fare presa sul popolo basta dirsi paladini dei muri, dei blocchi navali o dei respingimenti e si va dritti in cima ai sondaggi. Che poi, una volta al potere, i muri dei sovranisti si sgretolino, i blocchi navali dei nazionalisti si sciolgano, i respingimenti dei conservatori evaporino, non attenua il consenso perché è sempre colpa di qualcun altro se le misure antistraniero non funzionano e si richiede al popolo di rafforzare la determinazione per arrivare o mantenere la vittoria.
Coloro che fanno notare come le immigrazioni siano un fenomeno universale che coinvolge da sempre milioni di persone ogni anno e in ogni continente, vengono trattati come nemici della patria. Quelli che ricordano come il tentativo di bloccare l’immigrazione sia velleitario come provare ad asciugare il mare col cucchiaio, sicché sarebbe meglio gestirlo piuttosto che esorcizzarlo, tanto più in quelle società che per motivi economici e demografici se ne avvantaggiano, vengono bollati come traditori delle patrie tradizioni.
Uno degli strumenti che più contribuisce in Italia a diffondere la paura dello straniero è la criminogena Legge Bossi-Fini che “crea” letteralmente l’immigrato clandestino.
La Legge Bossi-Fini 189/2002 sostituì la precedente legge Turco-Napolitano 40/1998 – che a sua volta aveva sostituito la Legge Martelli del 1990 – per dimostrare che la destra era capace di arrivare con l’immigrazione lì dove non era stata capace la sinistra. Il rincorrersi delle date di adozione delle normative manifesta come il fenomeno dell’immigrazione sia in continua espansione da almeno trent’anni, sicché ogni governo ha provato ad arginarlo a modo suo, ma nessuno aveva mai pensato di fronteggiarlo con una palese finzione così come fecero Fini, vicepresidente del Consiglio dei ministri, e Bossi, ministro per le Riforme istituzionali e la devoluzione nel governo Berlusconi II (2001-2005).
Di sensato la Legge Bossi-Fini aveva una vasta sanatoria e l’inasprimento delle pene per i trafficanti di esseri umani. Ma in negativo concedeva il permesso di soggiorno solo se legato ad un rapporto di lavoro già avviato.
È stato quest’ultimo il punto dolente della legge che ha fatto fallire tutte le politiche migratorie nei trascorsi vent’anni perché pretende: che un datore di lavoro assuma uno straniero sconosciuto residente nel suo Paese di origine; che il datore di lavoro non eserciti alcuna pressione sul lavoratore minacciandolo di licenziamento se non accetta formalmente uno stipendio superiore a quello effettivo o svolgendo un orario di lavoro superiore a quello contrattuale; che nessuno si finga datore di lavoro, sia pure solo per pietà, verso quell’immigrato che, di fatto, continua a lavorare in nero per qualcun altro. Si tratta solo di alcuni esempi delle finzioni ispirate dall’infelice regola della Legge Bossi-Fini per ottenere e mantenere il permesso di soggiorno. Ma ancora peggio sono state le conseguenze per coloro che hanno perso il lavoro e non sono stati in grado di recuperarlo entro sei mesi finendo in clandestinità per la perdita del permesso di soggiorno. Un gioco dell’oca: perso il lavoro, perdi il permesso di soggiorno e, senza permesso di soggiorno, non puoi trovare un nuovo lavoro. L’unico sbocco in questi casi è la clandestinità, finire sfruttati per ore ed ore dai caporali come braccianti nei campi, sottopagati e senza alcuna tutela; dedicarsi alla microcriminalità; venire reclutati da bande criminali di ogni risma per essere destinati allo spaccio, ai racket delle estorsioni e delle intimidazioni, così avvitandosi in situazioni di irregolarità impossibili da superare trovando un lavoro normale. Il contrario dell’immigrazione regolare che la legge prometteva di garantire.
Ma la finzione più grande della Legge Bossi-Fini è quella di intendere i confini impermeabili all’immigrazione laddove vengono bucati continuamente senza considerare che i nuovi arrivi spesso non si fermano in Italia ma proseguono verso altri Paesi europei dove l’accoglienza ha un significato da noi ancora sconosciuto. Tanto è vero che l’Italia, in aggiunta ai clandestini, vara ripetutamente ampi decreti flussi con i quali stabilisce quote di ingressi, suddivisi in vari Paesi, in base alle interlocuzioni avviate con le categorie produttive alle quali la manodopera non basta mai.
Poiché uno Stato per essere credibile non dovrebbe affidare le sue leggi a puerili finzioni, sarebbe bene che si abolisse la legge Bossi-Fini per adottare una nuova normativa che, traendo insegnamento dall’esperienza del passato, adottasse un “permesso temporaneo di soggiorno” per la ricerca di occupazione favorendo l’incontro tra datori di lavoro e lavoratori non comunitari. Inoltre, appare opportuno ripristinare la chiamata diretta con la figura dello sponsor – già previsto dalla Legge Turco-Napolitano – per l’inserimento nel mercato del lavoro di stranieri a cui siano garantite risorse finanziarie e alloggio durante la permanenza in Italia, agevolando chi abbia già avuto precedenti esperienze lavorative o abbia frequentato corsi di lingua italiana o di formazione professionale. Sarebbe anche utile prendere spunto dalle esperienze di Spagna e Germania adottando un “permesso di soggiorno per comprovata integrazione”, rinnovabile anche in caso di perdita del posto di lavoro e destinato a coloro che pur irregolari, possano dimostrare l’esistenza di un’attività lavorativa o comprovati legami familiari. Tale “permesso di soggiorno per comprovata integrazione” dovrebbe essere rinnovabile anche in caso di perdita del posto di lavoro alle condizioni già previste per il “permesso in attesa di occupazione” e nel caso in cui lo straniero, in mancanza di un contratto di lavoro, dimostrasse di essersi registrato come disoccupato, aver reso la dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego. Potrebbe prevedersi, inoltre, la possibilità di trasformare il “permesso di soggiorno per richiesta asilo” in “permesso di soggiorno per comprovata integrazione” anche nel caso del richiedente asilo che abbia svolto un percorso fruttuoso di formazione e di integrazione.
Sembrano soluzioni ragionevoli e sono già state oggetto di ampi studi e proposte nell’ambito dell’iniziativa “Ero straniero” che, con la raccolta popolare di oltre 90 mila firme in sei mesi, ha potuto presentare un’apposta proposta di legge in Parlamento il 27 ottobre 2017, poi travolta dallo spirare di quella legislatura. Ci riprova adesso il Partito democratico con una proposta di legge appena depositata in Senato dal primo firmatario Graziano Del Rio ed illustrata nella Sala David Sassoli al Nazzareno lo scorso 17 ottobre. La ragionevolezza vorrebbe che anche il centro destra convenisse su queste proposte, tanto più la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha già detto che la Legge Bossi-Fini deve essere superata affidandone le ipotesi di modifica ad Alfredo Mantovano.
Dunque, perché tardare ancora a discuterne col rischio che aumentino i Satnam Singh che ci hanno strappato lacrime di rabbia e di pietà la scorsa estate.
L’autrice: Shukri Said è presidente della associazione Migrare, su Radio Radicale conduce la trasmissione Africa Oggi
In foto: manifestazione contro il caporalato a Latina, 6 luglio 2024 (Foto Flai Cgil)
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