Il presidente Mattarella ha incontrato il presidente Xi Jinping a Pechino. Il capo dello Stato è arrivato il 7 novembre in Cina per una missione che punta a riequilibrare i rapporti bilaterali dopo l’uscita dell’Italia dalla Nuova via della seta. L’8 novembre Mattarella ha visitato la mostra “Viaggio di conoscenze. Il Milione di Marco Polo e la sua eredità fra Oriente e Occidente” nel World Art Museum di Pechino.
Ecco il profilo di Marco Polo tracciato per Left dal sinologo Federico Masini, docente de La Sapienza
Chi era costui? Chi non ha mai sentito questo nome? In qualunque città del mondo forse esiste almeno un albergo, una agenzia di viaggio o una libreria che porta il suo nome. Ma come è stato possibile per questo italiano del Duecento, mercante veneziano, di diventare uno degli italiani più famosi al mondo? Più famoso di Leonardo o Cristoforo Colombo? Si il più famoso, secondo solo – forse – a Dante Alighieri, che pure aveva scritto davvero una formidabile opera letteraria, dando vita ad una lingua nuova.
Marco Polo era nato a Venezia nel 1254; quando aveva sette anni, nel 1261 suo padre Niccolò, in compagnia dello zio Matteo partirono per uno dei tanti viaggi che a quel tempo i mercanti veneziani compivano lungo le coste del Mediterraneo fino a sbarcare in Medio Oriente, per poi da lì spingersi nel continente, attraversare la Persia e il Karakorum fino a raggiungere i confini dell’impero cinese, dove i mongoli stavano insediando la loro dinastia Yuan (1279-1368). Durante il Duecento i mongoli avevano conquistato tutte le vastissime praterie che separano l’impero cinese dai confini dell’Occidente cristiano, fermandosi alle porte di Vienna nel 1242. Gengis Khan aveva fondato il più vasto impero della storia dell’uomo e suo nipote Kublai Khan, oltre a controllare l’impero cinese, tentò di espandersi anche verso sud in Vietnam e condusse due tentativi, falliti, di invadere perfino il Giappone, unico caso in tutta la storia millenaria di quell’impero.
L’Asia centrale era talmente pacificata, che gli storici hanno parlato di Pax Mongolica, per indicare che, per oltre un secolo, tutto quel grande continente era governato da un unico regno, capace di assicurare via di comunicazione e scambi come mai era accaduto prima nella storia. Forse insieme al breve periodo della Pax Romana, fu questa uno dei primi casi di globalizzazione delle vie terrestri del continente euroasiatico. Famosa la frase di uno scrittore del Seicento: “una vergine con un piatto d’oro poteva girare indisturbata da un angolo all’altro dell’impero”. Sicuramente esagerata, ma certamente sensazionale.
Cosa spingeva al viaggio a quell’epoca? Pochi forse erano quelli che si imbarcavano in viaggi così lunghi e pericolosi come free rider; due erano i principali motivi per viaggi così rischiosi: diffondere la propria religione e quindi estendere il proprio potere politico, oppure il commercio, la mercatura.
La religione è stata nella storia uno dei grandi motori delle conquiste più violente; era accaduto con gli arabi che un secolo esatto dalla morte di Maometto dal 632 al 732 avevano conquistato tutto il sud del continente euroasiatico, dall’Arabia alla Persia, il Medio Oriente, la sponda meridionale del Mediterraneo e poi la Spagna fino alla famosa battaglia di Poitiers, quando furono fermati dai Franchi; poi ben otto sanguinose Crociate cristiane, dal 1095 al 1274. Lo stesso accadde con i Mongoli, nel Duecento, e sarebbe successo ancora nella storia dopo la scoperta dell’America: la religione come pretesto per conquistare nuove terre e nuove risorse.
Anche nel Duecento, approfittando della Pax Mongolica, il Papato di Roma, inviò suoi rappresentanti in Asia centrale fino a raggiungere la capitale dell’Impero mongolo Kambaluc, l’odierna Pechino. Abbiamo i nomi e qualche documento che ci hanno lasciato alcuni missionari cristiani, come Giovanni da Montecorvino e Andrea da Perugia, Odorico da Pordenone, che scrisse una Brevis Relatio e Giovanni de’ Marignolli che compose Chronicum Bohemicum. Lo scopo di questi viaggi era sondare la disponibilità dei potenti mongoli ad una alleanza per il controllo del sud del mondo, dominato dai musulmani. In questi testi troviamo qualche informazione dei mongoli, la più curiosa è forse la notizia che usavano il papirum pro latrinis, la carta igienica, evidentemente ancora sconosciuta in Europa a quel tempo. Ma erano racconti e notizie scritte in latino che ebbero poca circolazione. Ancora meno sappiamo dalle decine di mercanti italiani che sappiamo viaggiarono fino in Cina in quell’epoca: Andalò da Savignone, Pietro Lucalongo, Luchetto Duodo, Giovanni e Franceschino Loredan e una intera famiglia Viglione di cui sono state ritrovate le lastre tombali nel sud della Cina. Pechino o meglio Kambaluc, ospitava una piccola comunità italiana; connazionali che si spingevano fin laggiù alla ricerca di quelle merci pregiate per le quali i cinesi erano famosi in Occidente fin dall’epoca dell’Impero Romano. Prima di tutto la seta, quel meraviglioso filato di cui i cinesi riuscirono custodire il segreto per centinaia di anni, fin quando i primi bachi furono trafugati a Costantinopoli per ordine dell’imperatore Giustiniano intorno al 550 d.C. e la sua produzione si diffuse rapidamente in Europa.
Arrivavano dall’Oriente anche spezie e pietre preziose, come era accaduto nei secoli precedenti, forse nei millenni precedenti, lungo quel reticolo di vie carovaniere, che solo nel Ottocento è stata per la prima volta indicata come Via della Seta. Le merci e le persone viaggiavano per tratti più o meno brevi, forse il viaggio nei secoli precedenti era stato troppo difficile e quindi i mercanti ne compivano solo brevi tratte, preferendo scambiare le loro merci e tornare indietro, piuttosto che compiere direttamente tutto il lungo tragitto dalle coste del Mediterraneo alla Cina estrema. Grazie alla Pax Mongolica, invece, fu più facile tentare di compiere tutto il viaggio e così svariati o forse tanti poterono viaggiare da un capo all’altro del continente. Tutta questa è storia dei commerci e delle idee. Merci che vanno e vengono, forse idee e religioni che si incrociano, senza però che resti una traccia nella storia tramandata ai posteri; ci restavano solo i manufatti, le pietre, la seta, forse l’oro; alcune idee venute dall’Oriente attecchirono in Occidente: in fondo il Cristianesimo è pieno di miti di origine orientale.
Disponevamo di alcune informazioni su questi viaggi, scritti in latino dai religiosi o in altre lingue su tratte di questa imponente rete di vie di comunicazione. Ma mai un viaggiatore europeo aveva voluto raccontare tutto il suo viaggio e forse non c’è di che meravigliarsi di questo. Perché un mercante avrebbe dovuto raccontare dove faceva i migliori acquisti o dove conveniva scambiare pietre o oro per sete e broccati, fornendo così alla concorrenza informazioni preziose? Inoltre, se lo avesse scritto forse sarebbe stato solo un noioso elenco di posti e di merci, un prontuario o poco più.
Marco Polo, partito nel 1271 che era appena un ragazzo di diciassette anni, arrivò in Cina tre anni dopo e vi risiedette per oltre vent’anni, viaggiando in lungo e in largo per tutto l’impero. Tornò a Venezia nel 1295, seguendo la via marittima, dal sud della Cina attraverso lo stretto di Malacca, la Penisola Indiana e il Golfo Persico. Evidentemente aveva ancora voglia di viaggiare e di fare, se già l’anno dopo prese parte alla battaglia di Curzola, nella costa dalmata, dove la flotta della Repubblica di Venezia si scontrò con quella di Genova per il predominio sui commerci nel Mediterraneo. La Repubblica di Genova aveva già sconfitto Pisa ed ebbe la meglio. Marco fu condotto a Genova e tradotto nelle carceri di San Giorgio. Viaggiò come prigioniero facendo tutto il giro della penisola italiana per essere incarcerato. La storia ci racconta, che in una cella incontrò un altro prigioniero, il pisano Rustichello, che di professione scriveva racconti nella lingua letteraria dell’epoca, una sorta di franco-italiano, una combinazione di parole francesi ordinate secondo la sintassi del veneto.
La tradizione narra che così nacque il primo best-seller non religioso della storia occidentale. Il suo primo titolo su forse Le devisement dou monde o La descrizione del mondo. La stampa da noi non era stata ancora inventata e così questo racconto fantastico di un viaggio incredibile attraverso l’Europa e l’Asia, incontrando popoli e razze così diverse, ebbe un successo inimmaginabile, diventando la base per un’infinità di versioni diverse di quel sogno. Oggi, gli studiosi contano oltre centosettanta versioni differenti del libro, del quale, ovviamente, si è perso il testo originale; ciascuna scritta in diverse lingue e con particolari differenti. Come scrisse il grande storico francese Le Goff, il libro di Marco Polo trasformò l’Asia nello «l’orizzonte onirico dell’Europa».
Negli stessi anni in cui Dante Alighieri terminava la sua Commedia, divina, perché bellissima e perché in grado di contenere al suo interno tutto lo scibile dell’antichità classica e del cristianesimo, Marco Polo con Rustichello regalavano al mondo occidentale il sogno che potessero esistere altri mondi diversi: Paesi in cui le donne sceglievano i loro mariti, dopo averne conosciuti tanti; mondi in cui circolavano fogli di carta che valevano come le monete d’oro; popoli piissimi, ma che praticavano altre religioni. Dante Alighieri e Marco Polo erano a Venezia nel 1321, forse si incrociarono in una calle buia, ma certo si ignorarono; uno aveva deciso di viaggiare nella storia del passato, in verticale nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso, l’altro, invece, aveva viaggiato veramente in orizzontale sulla terra, verso il futuro.
Famosissimo alla sua epoca e ispiratore del viaggio di Colombo che, giunto ai Caraibi, pensa di sbarcare per incontrare il Gran Khan, il Milione (Einaudi) di Marco Polo da romanzo fantastico diventa, durante il Cinquecento e il Seicento, libro di storia, riferimento geografico. È solo alla fine dell’Ottocento che il Regno d’Italia, alla ricerca che miti e personaggi, riscopre Marco Polo, come campione dell’esploratore italiano. In pochi decenni si impone come un mito, prima italiano e poi, grazie soprattutto agli inglesi, come una icona della globalizzazione.
Marco Polo diventa così l’immagine del viaggiatore curioso, aperto e disponibile, né condottiero, né missionario: non vuole convincere nessuno delle sue idee, ma resta a bocca aperta dinnanzi alle differenze; non lascia a casa una moglie frustata come il grande Ulisse al quale era invece consentito tutto, Marco viaggia, conosce e racconta con passione il mondo. Non contano coloro che fecero il viaggio come lui o prima di lui, ma egli fu il primo a raccontarlo in modo da contribuire all’apertura delle menti dell’uomo moderno.
Non basta scoprire ma bisogna anche sapere raccontare e tramandare, cosicché anche altri possano fare i tuoi stessi sogni.
Marco Polo 700 a Venezia Le mostre
Con le celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Marco Polo, Venezia diventa sempre più il luogo dell’incontro con altre culture. L’evento di punta di “Marco Polo 700” è la mostra promossa da Fondazione Musei civici a Palazzo Ducale dal 6 aprile al 29 settembre. I mondi di Marco Polo. Il viaggio di un mercante veneziano del Duecento presenta oltre 300 opere provenienti da collezioni veneziane, italiane e prestiti dei musei dell’Armenia, Cina, Qatar e Canada. Opere d’arte, reperti, manufatti (come la scatola in argento sopra), che permettono di compiere idealmente lo stesso viaggio del mercante veneziano. Palazzo Mocenigo ospiterà dal 29 aprile al 30 settembre una selezione di abiti di scena e bozzetti, protagonisti dello sceneggiato Rai Marco Polo del 1982. L’Università Ca’ Foscari dedicherà nel corso del 2024 numerosi contributi scientifici alla figura di Marco Polo, tra cui la prima edizione digitale in inglese de Il milione. Tutte le iniziative pubbliche di carattere scientifico, espositivo, letterario, culturale, si possono seguire nel sito leviedimarcopolo.it
L’autore: il sinologo Federico Masini è docente di Lingua e Letteratura cinese all’Università La Sapienza di Roma. È autore del podcast di Storie diplomatiche Marco Polo, chi?.
E’ appena uscito il suo saggio L’identità senza parola, origine e sviluppo del linguaggio (L’Asino d’oro)
Questo articolo di Federico Masini è uscito su Left il 29 febbraio 2024