Alla NYUAD Art Gallery anche una importante rassegna di cortometraggi di artisti palestinesi, realizzati spesso con mezzi di fortuna, nell'inferno di Gaza bombardata da Israele

da Abu Dhabi

Between the tides (tra le maree), A Gulf Quinquennial, co-curata dal direttore esecutivo della NYUAD Art Gallery Maya Allison e dal curatore della galleria, il professore Duygu Demir, è in realtà il frutto di un fitto dialogo con gli artisti e i curatori di tutta la regione. Espandendosi oltre il panorama artistico degli Emirati, questa esposizione riunisce e rende visibile un ecosistema condiviso più ampio. Il titolo “Between the Tides”, riflette il profondo legame del Golfo con i ritmi lunari e un senso del tempo modellato da modelli naturali. Essa presenta un’ampia varietà di stili artistici, da voci emergenti a personaggi noti, ed esplora temi importanti, come lo sviluppo urbano, il cambiamento climatico, il patrimonio della tradizione, l’identità e la rappresentazione.
L’ambizione di questa iniziativa è quella di raccogliere e divulgare le opere di artisti giovani e/o affermati, ma che, provenendo da Paesi che nel circuito dell’arte contemporanea hanno una scarsa visibilità, sono troppo spesso relegati in una posizione marginale. Questa mostra che dura fino all’8 dicembre dovrebbe essere il primo appuntamento di una manifestazione a cadenza quinquennale, e anche solo per questo motivo sicuramente merita una visita e una recensione.

Un’opera di Hazem Harb

Between theTides: AGulf Quinquennial presenta 21 artisti e collettivi provenienti da tutta la regione, tra cui Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar, Kuwait, Bahrein e Arabia Saudita. L’ambizione dei curatori è quella di catturare i momenti chiave della scena artistica del Consiglio di cooperazione del Golfo dal 2019, presentando opere nei campi delle arti visive, dell’architettura e del design, attraverso dipinti, video, installazioni e sculture che riflettono i paesaggi culturali e ambientali unici della regione.
La mostra, corredata da un catalogo bilingue (inglese/arabo), è stata inaugurata anche per celebrare il primo decennio della NYUAD Art Gallery, uno spazio che si è guadagnato nel corso di questi primi dieci anni di attività una crescente visibilità nel panorama locale dell’arte contemporanea. Commentando il decimo anniversario e il lancio di questa prima quinquennale, Maya Allison ha detto: «Nel primo decennio della NYUAD Art Gallery e del Project Space, insieme allo sviluppo della nostra istituzione culturale, abbiamo assistito a una proliferazione di artisti, in parte grazie al supporto di nuove iniziative nel Golfo, che stanno producendo opere complesse, sfumate e provocatorie, insieme ai loro colleghi più esperti. Ampliata oltre il panorama artistico nazionale, questa mostra riunisce e rende visibile un ecosistema condiviso più ampio. Un capitolo nuovo è stato aperto nella regione e sulla scena globale».

Un’opera di Alia Ahmad

Infatti, mentre è ancora in costruzione la nuovissima sede del Guggenheim di Abu Dhabi, va avanti dal 2011 (la conclusione dei lavori è prevista per il prossimo anno), la galleria in questione ha rappresentato un importante laboratorio per lo sviluppo di un nuovo linguaggio artistico locale connesso con quello dell’arte contemporanea attraverso mostre (tra le quali occorre citare almeno But We Cannot See Them, del 2017, un’indagine ventennale sulla scena artistica d’avanguardia degli Emirati), residenze di artisti e iniziative, tra cui merita una menzione la proiezione sold out del 5 novembre di From ground zero, una serie di 22 cortometraggi realizzati a Gaza con mezzi di fortuna, presentati in sala dal rinomato regista palestinese Rashid Masharawi. Ognuno di questi film, che dura dai 3 ai 6 minuti, presenta una prospettiva unica sulla realtà attuale di Gaza (il progetto, nel quale sono rappresentate diverse esperienze di vita nell’enclave palestinese, comprese le sfide, le tragedie e i momenti di resilienza affrontati dalla sua gente, è realizzato attraverso un mix di generi, tra cui fiction, documentario, docu-fiction, animazione e cinema sperimentale).

Tra le opere più interessanti esposte in questa mostra, occorre menzionare Notes of places (2022), una monumentale tela di quasi nove metri di lunghezza (880×338 cm) realizzata da Alia Ahmad, una giovane artista dell’Arabia Saudita, nata a Riyadh e diplomata presso la Royal College of Art di Londra, la quale, nelle sue tele dalle grandi misure, traendo ispirazione dal “deserto industriale” della sua città natale, dai colori dei tessuti Sadu e dalle forme della calligrafia araba, crea placidi paesaggi onirici e impressioni lineari che indagano le connessioni tra memoria, tempo e spazio. In particolare, nell’opera in questione, l’autrice si ispira ai paesaggi arabi ritratti sulle banconote saudite (era stata concepita per una lunga parete curva del Fenaa Al Awwal art center di Riyadh, una galleria realizzata in quella che fu la sede centrale della Saudi Hollandi Bank, la prima banca commerciale dell’Arabia Saudita). I riferimenti al paesaggio rappresentano solo un primo elemento di base, che poi l’autrice deforma e trasfigura attraverso il linguaggio e le pratiche dell’espressionismo astratto. Il risultato è una originale e fascinosa sintesi di linguaggi e culture che, anche grazie alla sua dimensione monumentale, non lascia indifferente il visitatore.
Collective Exhaustion (2023), dell’artista emiratina Afra Al Dhaheri è anch’essa un’opera dalle grandi dimensioni (338x52x880 cm), ma che si sviluppa nelle tre dimensioni e che consiste una struttura di tubi in alluminio nella quale i visitatori, nel corso di una performance, per tre ore al giorno durante tre giornate, erano chiamati a manipolare pile di corde nautiche di cotone (materiale molto amato dall’artista emiratina) al suo interno. A completare l’installazione, un sottofondo sonoro realizzato da Dario Felli e una illuminazione colorata ad opera di Cristian Simon, che si ripetono a loop ogni trenta minuti e che creano un suggestivo dialogo tra la struttura dell’opera, i suoni e le luci. L’autrice, nata ad Abu Dhabi, una città che negli ultimi decenni si è sviluppata in modo vertiginoso, in quest’opera dimostra di avere assimilato, e tradotto nel linguaggio dell’arte contemporanea, le scenografie e l’impetuoso ritmo con cui cresce la capitale degli Emirati, in cui gli scheletri dei grattacieli in costruzione si affastellano, addossati a quelli appena terminati, dando la sensazione di un enorme cantiere sempre in attività.
Ce ne sarebbero molte altre di opere esposte degne di nota, ma non possiamo non segnalare Gauze (2023) dell’artista palestinese originario di Gaza Hazem Harb, il quale ha lavorato in Italia e vissuto a Roma laureandosi presso l’Accademia e l’Istituto Europeo di Design e che oggi vive tra la Francia e Dubai. L’opera consiste in quattordici cartoncini marroni incorniciati sui quali l’autore ha incollato dei frammenti di garze e che assumono forme vagamente antropomorfe, figure eteree che potrebbero ricordare fantasmi o ectoplasmi. Malgrado non vi sia alcun nesso diretto, il visitatore non può fare a meno di ricollegare Gauze con l’attuale situazione di Gaza, territorio ferito e devastato dai continui bombardamenti israeliani.

Un’immagine dell’allestimento

Malgrado le ridotte dimensioni, se comparate a quella del vicino Louvre di Abu Dhabi o agli edifici monumentali più importanti della capitale emiratina, la NYUAD Art Gallery rappresenta uno dei pochi luoghi in cui il linguaggio dell’arte ha la possibilità di esprimersi liberamente e questa mostra, così ricca di spunti e di stimoli, lo dimostra. Il linguaggio dell’arte contemporanea può fornire gli strumenti e il terreno per instaurare un dialogo fecondo tra le culture, anche le più diverse, non attraverso l’omologazione, bensì attraverso la libera espressione dell’artista.
Hanno collaborato alla cura della mostra Abdullah Al Mutairi, del Kuwait, Ali Ismail Karimi, del Bahrain, Aseel AlYaqoub, del Kuwait e Ayman Zedani, dell’Arabia Saudita

L’autore: Lorenzo Pompeo è slavista, traduttore, scrittore e docente universitario