La mostra, in corso alla Neue Nationalgalerie di Berlino fino a settembre del prossimo anno espone opere provenienti in gran parte dall’archivio della Galleria, ripercorre un periodo molto lungo e comprende anche opere e artisti della Ddr (Repubblica democratica tedesca), che dopo la riunificazione sono state acquisite dal museo. Ma l’attenzione dei curatori è focalizzata in particolare sul periodo che va dal 1961, anno in cui a Berlino viene eretto il celebre Muro, ai primi anni 70, in cui lo statuto dell’arte venne definitivamente sovvertito. In questi anni l’arte divenne un terreno di confronto/scontro ideologico che divise in due la città, nella quale anche gli artisti dovevano confrontarsi (o conformarsi) con due opposti orientamenti: il realismo a est e l’arte astratta a ovest. La radicale contrapposizione tra queste due tendenze tuttavia generò una forte tensione (a cui fa riferimento il titolo della mostra Extreme tension) che gli artisti hanno spesso “rappresentato” nelle loro opere. La stessa inaugurazione della Neue Nationalgalerie in quella che allora era Berlino ovest, nel 1968, fu parte di questa vicenda, che i curatori hanno raccontato attraverso un’accurata selezione delle opere del suo enorme magazzino, arricchito per l’occasione da nuove acquisizioni dalla Polonia (da cui provengono Marta Smolińska e Magdalena Abakanowicz, due delle curatrici della mostra in questione).
Il punto più interessante di questa mostra è la rilettura critica della scena artistica berlinese, che in quegli anni fu un “punto caldo” nel panorama dell’arte mondiale. Mentre il legame con la politica è più evidente e visibile nelle opere degli artisti della Repubblica Democratica Tedesca, dove i dettami del “realismo socialista” furono vigenti fino agli ultimi anni della sua esistenza, nella Berlino ovest il “gioco” fu molto più sofisticato e complesso. La scelta di puntare con decisione sull’arte astratta, seguendo i modelli statunitensi dell’espressionismo astratto di Pollock e di Rothko (anche grazie al supporto della Cia, come raccontano i curatori della mostra) si rivelò anche un ottimo espediente per “rimuovere” gli orrori del recente passato nazista. Solo di recente si è scoperto che Werner Haftmann, primo direttore della Neue Nationalgalerie, della quale fu a capo fino al 1974, nonché direttore artistico delle prime tre edizioni di Documenta (1955, 1959, 1964) a Kassel (una delle principali manifestazioni dell’arte contemporanea a livello mondiale che fin dai primi anni promosse l’arte astratta), in gioventù aveva aderito al partito Nazionalsocialista ed era stato membro delle SA (tra l’altro fu coinvolto nel rastrellamento dei partigiani durante l’occupazione tedesca dell’Italia nel 1944).
Se guardiamo alla pop-art nell’ambito di questo scontro politico-culturale, la sua intrinseca “ambiguità” e “ambivalenza” appare subito evidente (celebrazione o critica della società dei consumi?). Tra l’altro nella mostra sono esposte alcune grandi tele di Willi Sitte, un artista della Ddr che aveva avuto la possibilità di viaggiare all’estero, nelle quali sono visibili ispirazioni e influssi della pop-art americana.
Se in relazione ai linguaggi e alle rappresentazioni artistiche il Muro fu “permeabile”, alle istanze dei movimenti femminista e ambientalista, e più in generale al mondo della controcultura del ‘68, offrì una barriera invalicabile (la repressione della Primavera di Praga fu la risposta a quelle istanze da parte del “socialismo reale”). Tra questi, quello che effettivamente lasciò un segno nella società più duraturo e profondo, fu il movimento femminista. La performance di Joko Ono del 1964 Cut Piece fu pioniera in questo genere di espressione artistica. Potremo citare Spia ottica, la performance di Giosetta Fioroni alla romana Galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis nel 1968, nella quale gli spettatori erano invitati a guardare da uno spioncino posto su una parete una camera da letto nella quale una donna svolgeva normali azioni quotidiane. Nel 1973 l’artista visuale nordamericana Carolee Schneemann (1939-2019) realizza Up to and Including Her Limits, una performance nella quale l’artista, nuda, legata a una fune, disegnava su un grosso foglio che copriva una parete e il pavimento. Partendo dalle pratiche dell’action painting di Jackson Pollock, la performer vi aveva aggiunto un elemento nuovo: la presenza del corpo femminile, che si fa strumento attivo nell’atto della creazione artistica. Nel 1976, In Freeing the body, Marina Abramovic danza nuda, con la testa coperta da un velo nero, per circa sei ore accompagnata da un persussionista fino allo sfinimento. La performance, che si svolse per la prima volta alla Künstlerhaus Bethanien a Berlino, terminava con il corpo esausto dell’artista riverso sul pavimento. Già nel titolo era messa in evidenza l’intenzione dell’artista serba: porre l’attenzione sulla mercificazione del corpo femminile e, allo stesso tempo, promuovere una “riappropriazione” del medesimo attraverso l’elemento dionisiaco.
Malgrado il controllo della censura, anche in alcuni paesi del Patto di Varsavia vi furono artiste che tentarono di dare voce e forma alle istanze del movimento femminista, come la polacca Ewa Partum, che nel 1980 realizzò la performance Women, Marriage Is Against You! a Poznań, nella quale appariva in un abito da sposa, avvolta in un foglio trasparente con l’etichetta “For Men”, che poi, al suono della marcia nuziale, tagliava con le forbici fino a rimanere nuda. Nella mostra in questione vi sono alcuni suoi fotomontaggi, acquisiti di recente dalla Neue Nationalgalerie, realizzati nel 1980, nei quali appare nuda tra i passanti in scene di vita quotidiana di Varsavia.
Accanto a questo filone legato ai “movimenti di protesta”, in parallelo, si sviluppò una “linea realista”, nella quale le nuove istanze dell’arte trovarono una differente risposta. Nelle sue tele dalle grandi dimensioni, Konrad Klapheck, un artista di Düsseldorf scomparso nel 2023, ritrae oggetti di uso quotidiano, come macchine da scrivere o da cucire, ingiganti e deformati, come per mettere in luce un “mistero delle cose”, l’assurdo nascosto nelle pieghe della quotidianità. Il suo stile, a metà strada tra surrealismo, dadaismo e pop art, ha influenzato artisti come Wolf Vostell, tra i protagonisti del movimento Fluxus, di cui fu co-fondatore nel 1962, pioniere della video-arte, il quale realizzò alcune sculture unendo pezzi di automobili, televisori e blocchi di cemento. Questo filone “realista” trovò una qualche corrispondenza anche tra alcuni pittori della Ddr, come Volker Stelzmann e Ulrich Hachulla, che nelle loro “nature morte” riuscirono a trovare una “via di fuga” dalla retorica del realismo socialista. Altri artisti, come Uwe Pfeifer, non mancarono di ritrarre nei loro quadri il grigiore della vita quotidiana nella Repubblica democratica tedesca (nel suo End of the work day del 1977 è rappresentata una fila di passanti in un sottopassaggio infagottati con cappotti grigi, viola e verdi che passano accanto a un cestino pieno di cartacce). Vi furono anche alcuni coraggiosi, come Hans Ticha, che nei loro quadri rappresentarono il regime di repressione militaresco nella Ddr (in German ballet del 1984 compaiono le sagome stilizzate di tre soldati che marciano).
Malgrado la vastità di temi e la quantità di opere esposte, la mostra Extreme tension riesce a mettere a fuoco le dinamiche di un periodo cruciale nella storia dell’arte contemporanea nel quale ogni barriera, ogni limite vengono infranti, ma dal quale ci stiamo gradualmente allontanando. La distanza che ci separa dal periodo in questione ci permette di ri-leggerlo in modo critico, mettendolo in relazione con le grandi trasformazioni politiche e sociali di quegli anni e del recente passato. Ma si tratta di un lavoro che è appena cominciato, anche perché sono ancora molte le domande che ancora attendono una risposta.
L’autore: Lorenzo Pompeo è slavista, traduttore, scrittore e. docente universitario. Il suo nuovo testo teatrale “La caduta di Gomerosol” con la premessa di Marco Belocchi