Il centro-sinistra, alla fine di questo 2024, riconquista due Regioni – Sardegna e Umbria – che erano passate a destra sull’onda del sovranismo in salsa post-fascista e leghista, ma il dato che pare più preoccupare è la decisa e persistente discesa della partecipazione elettorale che appare ormai prossima al “livello di guardia”. Negli ultimi due anni le tornate elettorali regionali hanno visto un’affluenza calante, secondo una tendenza preoccupante: dal 37,2% nel Lazio al 41,7% in Lombardia, dal 45,3% in Friuli V.G. al 46% in Liguria, dal 46,4% in Emilia-Romagna al 48% in Molise, dal 49,9% in Basilicata al 52,2% in Abruzzo e dal 52,3% in Umbria al 55,3% in Piemonte. Anche le elezioni europee del giugno scorso, peraltro, avevano visto un calo considerevole, con un 48,3% di votanti (il 6,2% in meno) a livello nazionale, e non sembra dunque che si possa dire che sia il voto per le Amministrazioni regionali a non essere particolarmente sentito (così come si era già gridato l’allarme alle politiche del 2022, che avevano visto un’affluenza del 63,9%, in calo di ben 9 punti rispetto al 2018).
In Emilia-Romagna il crollo dei votanti è stato del 21,3% (dal 66,7%), contro il 12,4% dell’Umbria (dal 64,7%). Certo, si temeva l’astensionismo, con ragione, soprattutto a causa del segno lasciato dalle alluvioni in Emilia-Romagna, ma non lo si immaginava così drammatico. Non tanto e solo nelle zone colpite, peraltro, quanto piuttosto nella percezione generalizzata che il governo regionale non possa dirsi esente da colpe (tra consumo di suolo e dissesto idro-geologico), rivelatasi nella campagna del Pd che ha cercato di glissare sull’argomento, anzi ribadendo di voler perseguire le scelte già compiute.
In Umbria, viceversa, la partecipazione è stata appena più alta proprio perché la candidata presidente – cattolica e pacifista – ha saputo raccogliere attorno a sé un fronte ampio, fino alla sinistra radicale, tale da invogliare al voto più elettori.
Il Pd e il “campo largo” festeggiano dunque la decisa vittoria in Emilia-Romagna e la riconquista dell’Umbria. Dopo la sconfitta subita in Liguria per appena un punto e mezzo, con grande enfasi si esalta il 56,8% di De Pascale nella regione “rossa” e il buon 51,1% di Proietti in Umbria, due risultati che lasciano la destra al palo. Le percentuali, però, sono ingannevoli, perché mascherano tanto il calo della partecipazione che quello dei voti validi.
In Emilia-Romagna il centro-sinistra esulta, nonostante la perdita di 286mila voti rispetto al 2020. Certo, il centro-destra ne perde 387mila, ma non ha troppe ragioni per brindare. Il Pd di Elly Schlein in cinque anni perde 108mila voti (il 14,4%), mentre in Umbria ne guadagna quasi 4mila e la candidata presidente 16mila. Rispetto alle europee di appena cinque mesi fa, poi, in Emilia-Romagna la perdita del “campo largo” è di 269mila voti (e per la destra di 217mila), il che indica che è stato proprio il voto regionale a segnare un calo. Avs, che alle europee aveva fatto il “botto” con 130mila voti (6,5%), perde 44mila voti sul 2020 e 50mila sul giugno scorso. Così come i pentastellati, il cui giallo è sempre più pallido, che perdono quasi 50mila sul 2020 (la metà) e 89mila sulle europee.
Nel caso dell’Emilia-Romagna, però, il calo dell’affluenza e dei voti validi è stato particolarmente vistoso, e tutto lascia pensare che le recenti vicende climatiche abbiano accentuato uno iato crescente tra società e corpo politico. Giusto per fare tre esempi di territori colpiti, nel solo comune di Bologna, ad esempio, il Pd perde 12mila voti (un sesto di quelli che aveva), Avs quasi 7mila (ben un terzo) e i 5 Stelle 4mila (la metà); a Faenza il Pd perde mille voti, dei 10.700 che aveva, e AVS due terzi; a Lugo, il Pd perde 1600 voti, dei 6mila che aveva, Avs quasi la metà. Potranno anche gioire delle buone percentuali, ma una certa preoccupazione Pd, Avs e M5S la dovrebbero avere. Non è poi solo il centro-sinistra a perdere voti, ma anche la destra, il che potrebbe far pensare alla sfiducia di territori che si sono sentiti “trascurati” (come testimonia la vicenda dei ristori).
Sinistra Italiana, Verdi e 5 Stelle, peraltro, avevano su questa questione l’occasione di puntare i piedi e di esigere una seria agenda ambientalista, che segnasse un reale cambiamento di rotta sulle politiche urbanistiche, dei trasporti e di gestione del territorio. La questione ambientale è divenuta dirimente, per una parte dell’elettorato, non necessariamente “ecologista”, e non sembra più esserci possibilità di continuare come se nulla fosse.
La sinistra radicale, invece, rimane al palo, quando si isola. In Emilia-Romagna aveva marciato divisa in tre liste nel 2020, raccogliendo 26.165 voti (1,21%). Unione Popolare prese 32.331 voti nel 2022 (1,4%), mentre Pace Terra Dignità arrivò a 46.002 (2.32%). La lista PaP+PRC+PCI prende ora appena 27.337 voti (1.8), che sono, sì, più del 2020 ma ben meno di quelli di PTD del giugno scorso. In Umbria, invece, Rifondazione Comunista partecipa alla lista Umbria per la Sanità Pubblica, in coalizione con il centro-sinistra, e ottiene un buon 2,4%, contribuendo così alla vittoria, mentre le altre liste di sinistra raccolgono solo briciole.
Il voto in Emilia-Romagna e Umbria, in ogni caso, conferma che la destra raccoglie ancora voti nelle aree interne e periferiche, ove la concentrazione delle fasce di reddito più basse è maggiore, mentre il centro-sinistra ottiene più consensi nelle aree urbane, dove i redditi medi sono più alti. Certo, i consensi vanno riducendosi per tutti, per un elettorato che fatica a distinguere le proposte politiche che gli vengono offerte, in cui i ceti popolari non trovano più rappresentanza.
L’astensione, com’è ovvio, indica una sfiducia montante e generalizzata nei partiti, che viene accentuata da un sistema elettorale rigido, che non permette la diversificazione. Le formazioni politiche, poi, non sembrano volersi davvero sfidare, accentuando una bi-polarizzazione che favorisce solo i partiti maggiori. Lo scarto tra centro-sinistra e destra in Emilia-Romagna, ad esempio, mostra che non era necessaria la solita chiamata alle urne «altrimenti vince la destra», mentre vi sarebbe stato spazio per una terza forza. Se Avs e 5 Stelle avessero fatto coalizione a sé – aprendosi a sinistra e contrapponendosi al Pd – avrebbero potuto forse ambire a più di quell’8,8% che li relega a partner minori, raccogliendo anche un voto di “protesta” che, per non premiare il Pd, è finito inespresso. La “paura della destra” ha avuto la meglio ma ora sarà dura per chiunque ribadire il no alla cementificazione e alle grandi opere e maggiore tutela ambientale. Così, si è lasciato vincere il “partito del cemento” sperando che, di qui alla prossima alluvione, si ravveda davvero.
L’autore: Pier Giorgio Ardeni è professore ordinario all’Università di Bologna. Insegna Economia dello sviluppo ed Economia dello sviluppo internazionale. Il suo nuovo libro s’intitola Le classi sociali in italia oggi (Laterza)