Nel Putumayo, territorio isolato della Colombia, per anni guerriglieri e paramilitari hanno seminato morte e violenza tra i civili. È qui che Fatima Muriel ha fondato l’Alleanza delle “donne tessitrici di vita”. Uno straordinario impegno sociale, politico e umano. Ecco il suo racconto
«Questa storia nasce dal dolore». Ha ripetuto molte volte questa frase Fatima Muriel durante gli incontri e le conferenze che ha tenuto in Italia nel corso del suo lungo tour autunnale. Fatima Muriel, attivista e femminista colombiana, quando parla di «questa storia» si riferisce a quella dell’associazione di cui è fondatrice e presidente, “Alianza de mujeres tejedoras de vida” (Alleanza delle donne tessitrici di vita, Atv), e il dolore di cui parla è anche il suo. «Sono 25 anni che Atv è nata, 25 anni in cui abbiamo costruito una vera e propria rete tra le molte organizzazioni di donne del Putumayo e con cui lavoriamo per dare lavoro, dignità e ascolto alle tante donne che sono state le prime vittime del conflitto. E lo sono state in molteplici modi: come madri, come mogli, come figlie. Morte anche loro, anche se sopravvissute». Fatima stessa ha perso due fratelli, un cognato e il marito è stato ferito gravemente in un attentato. Quando parliamo del conflitto dobbiamo ricordare che la Colombia negli ultimi 60 anni ha vissuto una vera e propria guerra intestina e fratricida che ha visto contrapposti negli anni, gruppi di estrema sinistra come le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) o l’Eln (Esercito di liberazione nazionale) - nati per rivendicazioni sociali e sfociati nel narcotraffico - all’esercito colombiano e a gruppi paramilitari organizzati dai cartelli della droga con la connivenza dello Stato per combattere la guerriglia. Circa 500mila morti civili per mano degli uni o degli altri, secondo i dati della Commissione verità (istituita nel 2016 ndr). Ad oggi, sempre secondo la stessa fonte, sono circa 8milioni i desplazados ovvero rifugiati interni, che si sono spostati da un luogo all’altro, da una regione all’altra cercando di allontanarsi dalla violenza e lasciando dietro di loro case, appezzamenti di terra, la vita precedente. Ma sulla violenza è imperniata tutta la storia recente di questo meraviglioso Paese. E il Putumayo, caratterizzato da una selva intricata e da imponenti fiumi che fungono da vie di comunicazione, è stato a lungo la regione che ha visto il maggior numero di attori armati combattersi tra di loro o creare qui i loro quartieri generali. Durante questi anni guerriglieri e paramilitari a seconda dell’area di influenza, entravano nei villaggi, reclutavano i ragazzi anche molto piccoli per arruolarli e prendevano le ragazze per violentarle. Per questo Fatima dice che le donne sono state quelle che hanno sofferto di più. «Sono quelle che sono rimaste sole, vedove, senza figli. In molti casi sono loro che si sono immolate per cercare di farsi restituire, anche cadavere, un figlio o un marito, finendo per essere a loro volta uccise oppure violentate dai soldati. Molte hanno partorito figli e figlie della violenza sessuale e alcune solo oggi trovano il coraggio di confessare questo segreto ai figli e di affrontare insieme un percorso che è anche un percorso di riconciliazione, come quello che avviene nel Paese».

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