Chissà cosa ne dicono gli illuminati commentatori riformisti, quelli che da anni celebrano Emmanuel Macron come il faro del riformismo europeo, che a lui hanno dedicato partiti personali delle dimensioni di un cespuglio e che in lui vedevano la faccia presentabile del governare con la destra, con politiche di destra, fingendo di essere progressisti.
Chissà dove sono oggi anche coloro che hanno celebrato la nascita del governo Barnier come un “capolavoro politico”, sfregandosi le mani per un presidente che ha arginato la destra nelle elezioni appoggiandosi a sinistra, salvo poi mettere in piedi un governo con la destra escludendo la sinistra.
Sono gli stessi che stamattina firmano editoriali in cui ci spiegano quanto sia vergognoso che la sinistra abbia votato con la destra, quella stessa destra che fino a ieri applaudivano al governo. Il cortocircuito della politica francese è il paradigma della politica europea: potabilizzare i sovranisti non modifica la loro natura. Marine Le Pen rimarrà sempre Le Pen, perché ne va della sua sopravvivenza politica. A Bruxelles, Giorgia Meloni tornerà presto a essere la solita Meloni per mantenere il suo elettorato.
Si legge oggi sui giornali che quello di Macron fosse “l’unico governo possibile”. Due righe più sotto, ci si lamenta che quelli spediti a fare opposizione si siano permessi di fare opposizione. La politica è un esercizio che richiede serietà: la Francia (e non solo) si sta sgretolando sotto il peso del suo debito pubblico. Farsi vetrina con le Olimpiadi e con il recupero di Notre-Dame non sistema i conti pubblici. Scegliere come sistemare i conti è politica, e per questo conviene farlo con gente che, generalmente, sia d’accordo.
Buon giovedì.