La presidente della Commissione Ue con il suo programma di difesa europea si allontana dai valori fondanti dell’Unione, nata proprio perché gli Stati collaborassero ad una pace duratura per lo sviluppo della democrazia. E non solo dei suoi cittadini, ma di tutti i popoli
Alla fine del 2024 il Parlamento europeo ha votato la nuova Commissione europea che vede la riconferma della presidente Ursula von der Leyen. Salita rapidamente di popolarità durante la gestione della pandemia da Covid, la presidente Von der Leyen ha traghettato l’Unione europea attraverso un altro evento di carattere epocale, lo scoppio della guerra tra la Federazione Russa e l’Ucraina. L’inconcepibilità dell’evento penso abbia lasciato sgomenti milioni di europei che, forse ingenuamente (termine spesso utilizzato con accezione negativa, ma non dovrebbe essere sempre così), hanno ritenuto per lungo tempo parole come “invasione”, “aggressione”, “guerra” un lessico arcaico e anacronistico che mal si addice al progetto che l’Unione europea difende e vuole realizzare: la pace. Non è stato possibile trovare un orientamento tra le pressioni culturali, intellettive ed emotive prodotte da questo evento che purtroppo nel giro di pochi mesi una nuova catastrofe, vicina al genocidio, ha iniziato a consumarsi sotto il cielo sempre azzurro di Gaza, assestando un duro colpo alle speranze di chi vuole, e sogna, un mondo diverso. Le reazioni della classe dirigente agli attacchi israeliani a Gaza sono state molto diverse da quelle immediate verso l’invasione russa in Ucraina. Nel programma politico presentato da Ursula von der Leyen al Parlamento europeo per la sua rielezione, il termine guerra compare sette volte e la maggior parte di queste per parlare della «guerra d’aggressione di Putin all’Ucraina» mentre è molto più generale il rimando alla «guerra a Gaza» o «in Medioriente», che forse non è nemmeno da considerare tale, data la disparità delle parti. Questa ambiguità è nociva per il progetto europeo che si fonda su valori e aspirazioni nettamente diverse da quelle che invece persegue l’attuale classe dirigente in quanto è innegabile che la storia del nostro continente sia costellata di conflitti e guerre sanguinose, tuttavia nei decenni precedenti il dibattito pubblico, sia politico che culturale, ha cercato di aspirare ad un cambiamento che oggi ai nostri politici appare impensabile.

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