Le testimonianze di infermieri e operatori sociali nella Striscia e in Cisgiordania, sotto le bombe e gli attacchi israeliani, documentano il dramma vissuto per la morte dei familiari, l’angoscia di non avere più una casa ma anche il senso di responsabilità nel curare e salvare le persone
Le voci da Gaza e dalla West Bank che abbiamo raccolto sono di tredici persone. Si tratta di testimonianze che abbiamo ricevuto tra settembre e ottobre del 2024: nove da Gaza - tre infermieri, una infermiera, due psicologi, una psicologa, un operatore umanitario, un ex receptionist di un Hotel - e quattro dalla Cisgiordania o West Bank: un social worker, uno psicologo sociale, una psicologa, una madre del campo profughi di Jenin. A queste persone, che avevamo conosciuto per motivi professionali abbiamo chiesto: “Descrivi la tua esperienza di guerra in questo periodo: fatti, pensieri, emozioni, sentimenti e tutto quello che vuoi senza censura”. Volevamo capire i loro vissuti, cosa dà loro la forza per non crollare, su cosa si basa principalmente la loro resilienza. Qui si riportano integralmente sei di queste testimonianze: cinque da Gaza, dove la situazione è particolarmente grave, e una dalla West Bank dove la situazione dopo il 7 ottobre 2023 è diventata sempre più difficile. Si tratta di informazioni essenziali che queste persone hanno voluto dare di sé stesse. La testimonianza di uno psicologo sessantaduenne di Gaza è stata tradotta dall’arabo per poter essere analizzata anche da chi non conosce l’arabo, le altre sono state scritte in inglese, lingua che i palestinesi di livello anche medio di istruzione conoscono. Alcune frasi delle testimonianze sono di incerta interpretazione, ovvero esprimono incertezza come è comprensibile per l’incertezza della realtà che queste persone stanno vivendo. Queste tredici testimonianze non costituiscono ovviamente un campione statisticamente rappresentativo, non consentono inferenze e generalizzazioni. Sono tuttavia significative, voci che emergono dal marasma che fanno riflettere se ascoltate. Il nostro commento si limita a rilevare alcuni aspetti che ci colpiscono. La prima è la “dignità”, la dignitas - ovvero il «sentimento di rispetto che l’uomo deve a sé stesso» - con la quale viene descritto l’indescrivibile; come il trovarsi, infermiera in servizio (terza testimonianza), di fronte ai corpi difficilmente riconoscibili dei figli e del marito. Una esperienza che a Gaza, con ogni probabilità, non è affatto un caso unico; e che, come scrive questa infermiera, spegne ogni speranza: «…losing hope of delight future».

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