La standing ovation al tecnofascismo trumpiano ci porta già oltre la sfera del noto, dell’ordinaria relazione tra politica e società. È già una forma nuova, fisica e virtuale insieme, di rapporto tra popolo ed élite politica-economica.
Non so dire quando il salto sia avvenuto, certo il 20 gennaio 2025 il pugno chiuso e i richiami al white power di Trump e il saluto entusiasticamente nazista di Musk consegnano al pianeta la minaccia contenuta nella relazione reciprocamente parassitaria, la più pericolosa per le democrazia e la sopravvivenza stessa della specie: quella tra le più grandi aziende tecnologiche che dominano il settore dell’informatica e della tecnologia a livello mondiale, e un progetto politico neo-imperiale.
L’oligarchia digitale era alla mensa miliardaria dell’insediamento di Trump alla Casa bianca. Al cospetto del tycoon le figure del dominio dei social: Jeff Bezos (Amazon), Mark Zuckerberg (Meta), Tim Cook (Apple), Sundar Pichai (Google) e altri amministratori delegati delle più grandi multinazionali del settore tecnologico.
Trump già subito dopo la proclamazione della sua vittoria elettorale con poche parole rivolte a Paesi alleati, come il Canada, il Messico e la Danimarca, ha rimarcato il suo rapporto con la politica statunitense e con gli assetti post-Yalta, violentando al tempo stesso la democrazia interna al suo Paese e il sistema di alleanze della Nato.
Penso che quello che abbiamo sotto gli occhi non sia semplificabile, ma alcuni tratti emergenti ci obbligano a concepire questo momento storico come straordinario e straordinariamente pericoloso per la democrazia, così come l’abbiamo conosciuta. Oltre all’alleanza con “l’oligarchia del tech”, infatti, in questa accelerazione semantica che ridisegna cartine geografiche e valori, nell’impianto trumpiano vediamo tutti gli elementi del processo di fascistizzazione della società in corso negli Usa. La relazione consustanziale tra cittadinanza e adesione ai piani politici e ai valori del capo, nazionalismo, militarismo, sessismo, compressione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e dei diritti umani e civili, criminalizzazione del conflitto sociale, eroismo e esaltazione di virtù specifiche della nazione (America first).
È un disegno che, come stanno a dimostrare le parole di Musk e le attenzioni rivolte all’Italia e alla Germania, si nutre di allusioni imperiali e di una concretissima operosità, fatta di rapporti, influenze e denaro, che mira a disgregare, indebolire, delegittimare le democrazie liberali. Concretissima operosità perché questa nuova alleanza “tecnofascista” indica gli obiettivi e mira a raggiungerli con aggressività e determinazione. Come è successo negli Usa, rischia di accadere in Europa, prossimo campo di azione di questo disegno. Musk, i mondi economico finanziari che vedono la democrazia liberale come freno, stanno già investendo in termini di immagine e di denaro verso un rovesciamento autoritario delle democrazie europee, passando per un consolidamento del rapporto, ormai “storico”, con la presidente del Consiglio Meloni e il sostegno aperto ai neonazisti dell’Afd tedesca.
Non può passare inosservato che il 23 febbraio ci saranno le elezioni federali in Germania e già il fuoco comunicativo di questa alleanza è all’opera. Una operazione che precipita sulla fragilità istituzionale e di governance unitaria dell’Europa e sull’impreparazione della colonna vertebrale delle democrazie europee di fronte alla rapidità dell’involuzione autoritaria: la società civile, le forze politiche e sindacali. E precipita in un contesto europeo in cui, in alcuni Stati come l’Italia, questo processo di verticalizzazione dei processi decisionali e di criminalizzazione del dissenso è ormai in uno stadio molto avanzato, con le decretazioni d’emergenza sui temi della gestione del dissenso, del conflitto e della questione sociale, tutti incentrati sulla limitazione degli spazi di agibilità democratica e criminalizzazione delle figure contrattualmente più deboli e delle “eterodossie” politico culturali.
In Italia l’opinione pubblica ha iniziato a dare le prime risposte in termini di comprensione, di partecipazione e di conflitto. Abbiamo manifestato in decine di migliaia e dando vita alla più grande manifestazione di opposizione politica al governo Meloni. Movimenti sociali, sindacati, organizzazioni umanitarie, forze politiche hanno lanciato l’allarme sul rischio democratico insito nei provvedimenti del governo Meloni. Hanno rappresentato lo scenario concreto di una “orbanizzazione” del nostro Paese, di una aggressione per via legislativa ai diritti fondamentali sul modello ungherese. È uno scenario che spaventa e che disorienta, tanto sono potenti gli avversari in campo. È uno scenario in cui le parole del Novecento del sangue e del suolo e della razza tornano a disegnare confini e ad annunciare nuove guerre.
Penso che il primo stallo che abbiamo da affrontare sia quello interno, il nostro, di una comunità plurale, della sinistra diffusa: lo stallo della rimozione dell’orrore possibile, della possibilità di un nuovo baratro della civiltà. Penso che il primo passo sia quello della verità, di assegnare il riconoscimento del vero a quello che “loro” annunciano e progettano. Hanno mire di conquista e di concentrazione autoritaria di poteri e risorse, a scapito del lavoro, dei diritti, della democrazia e della pace. È un disegno neo imperiale che dobbiamo prendere sul serio. Dobbiamo provare a ritessere reti europee, a pensare e realizzare mobilitazioni all’altezza di questa minaccia, nella consapevolezza di questa minaccia, ricreare alleanze di società, nella società innanzitutto, che tengano insieme diritti umani, civili, questione democratica e sociale, che si mobilitino con urgenza per sconfiggere le nuove forme di fascismo che premono sull’Europa.
L’autore: Gianluca Peciola è educatore professionale, attivista per i diritti umani e scrittore. Il suo ultimo libro è “La linea del silenzio”, Solferino, 2024
Nella foto: Donald Trump si avvia a prestare il giuramento alla Rotonda del Campidoglio, 20 gennaio 2025 (Vanessa White)