Pronunci la parola Libia, la scrivi nel più minimo articolo laterale, l’ascolti nel più laterale dibattito politico e sei sicuro che da lì a breve arriverà un’intervista solenne a Marco Minniti. L’ex ministro dell’Interno. L’ex ministro dell’Interno del governo Gentiloni dal 2016 al 2018, sostenuto dal Partito democratico, da Alternativa popolare di Angelino Alfano sulle macerie del governo Renzi, è considerato un maestro del genere.
Così, sul mancato arresto del torturatore libico Almasri, ecco che Minniti si schiarisce la voce e spiega a Il Foglio che le opposizioni sbagliano ad attaccare il governo: «la questione è più generale. La Libia è strategica», spiega Minniti al Corriere della Sera con un’amichevole pacca alla retorica meloniana. «La sicurezza nazionale si gioca fuori dai confini nazionali», «la Libia è la base più avanzata dei trafficanti di esseri umani» ma soprattutto è energicamente «essenziale» e «l’Africa è il principale incubatore di terrorismo nazionale», detta Minniti. Meloni prende appunti, ha l’arringa già pronta.
Del resto fu proprio Minniti a firmare lo sciagurato memorandum Italia-Libia che da otto anni gocciola sangue di persone diventate prede dei sanguinari libici che ne fanno carne da macello, lautamente pagati dal governo italiano. Fu Minniti a trasformare le persone migranti in armi non convenzionali sacrificabili sull’altare di qualche bonifico internazionale.
«Lo Stato non è una ong. Dobbiamo abituarci alla guerra del bene contro il bene», spiega Minniti. Forse la vera questione di sicurezza nazionale è Minniti e noi ce lo siamo dimenticati troppo in fretta.
Buon mercoledì.
Al centro della foto Marco Minniti alla Leopolda scatto di Di Francesco Pierantoni – https://www.flickr.com/photos/tukulti/15009260743/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=83259655