Il lavoro intellettuale è portato per vocazione a seguire ciò che succede, a coordinare i fatti vicini e lontani, a mettere insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un quadro coerente, nella cultura e nella politica, per ritrovarvi la logica, l’arbitrarietà o anche la follia, ancor più se tutto è fatto in modo smaccato, e anche sciatto direi. Ma bisogna sempre badare alle coincidenze, ai ritorni periodici.
Partiamo dall’inizio, autunno 2024. Viene emesso il mandato d’arresto della Cpi a carico di Netanyahu. Senza esprimere giudizi – ai quali peraltro è chiamata la Corte –, i Paesi occidentali si dichiarano pronti a eseguire l’arresto nel rispetto del multilateralismo e della giustizia internazionale. Ma il governo italiano esprime posizioni contraddittorie, che lasciano trasparire già qualcosa che non torna. Se il più cauto ministro della Difesa a novembre diceva che non condivideva la scelta della Corte penale internazionale (Cpi), ma la si sarebbe dovuta eseguire, tutti gli altri leader di maggioranza hanno criticato la Corte, con toni più o meno accesi: Salvini ha espresso il categorico rifiuto di dar seguito ad un arresto, invitando qui il criminale Bibi; Meloni ha detto che la sentenza non era corretta, ma d’altronde ci ha fatto ben capire che dal suo punto di vista la divisione dei poteri non ha alcun valore; il presunto moderato Tajani parlava di sentenza inadeguata, su cui si sarebbero fatte le debite valutazioni in caso necessario.
L’ultima posizione è in realtà la più insidiosa, moderata solo in apparenza, e sfrutta proprio il posizionamento centrista, sbandierato e anche per questo ingannevole, del partito. Se si riconosce il valore storico e umano del diritto internazionale, ci si astiene da ogni valutazione, perché solo al tribunale spetta il compito di giudicare, esaminando i fatti e le carte, per decide alla fine se condannare o assolvere. Non spetta al potere politico, ripetiamolo sempre.
Ma loro avrebbero valutato…
Ricordiamo, nel mentre, che gli Usa avevano rigettato senza dubbi il valore del mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale. Lo fece l’allora presidente in carica Biden, senza sollevare polveroni, e anche il presidente eletto Trump, con critiche dure e sferzanti. Ma in ogni caso, la tendenza degli Usa è di agire sentendosi al di sopra delle parti, padroni gendarmi e giudici del mondo, non sottoposti al giudizio altrui. E così, già allora, Netanyahu fu accolto a Washington.
Intanto, le valutazioni di Tajani – dunque del governo in quanto lui è il capo della Farnesina – hanno partorito topolini pestiferi. Temporeggiando temporeggiando, il ministro degli Esteri il 16 gennaio dichiarava apertamente che l’Italia non avrebbe arrestato Netanyahu, e in più esprimeva un parere sull’operato della Cpi, tacciando i suoi provvedimenti di infondatezza.
Siamo ancora in tempi non sospetti, ma sul piano delle intenzioni politiche la decisione era stata presa: la Cpi è un nemico, non bisogna darle ascolto, sono magistrati, e per di più sovranazionali (odiosa parola per Meloni e Salvini).
E pochi giorni dopo scoppia il caso Almasri, di cui abbiamo scritto molto. In sintesi: in quell’occasione l’Italia non ha nemmeno preso tempo, ha subito fatto del diritto internazionale carta straccia, e il rito conclusivo è stato il pessimo spettacolo del ministro Nordio durante le informative al Parlamento.
Giusto così, come ipotesi, sembra che col caso Almasri il governo si sia preparato il terreno, non solo portare su tutto il globo terraqueo la guerra alla magistratura, ma anche per creare un precedente (nel senso tecnico della giurisprudenza), e poter accogliere Bibi con tutti gli onori in Italia. D’altronde, se riserviamo onori al boia libico, possiamo far lo stesso con quello israeliano. Ma per il momento, va Salvini a stringere la mano insanguinata in Israele, tanto per rendere più chiara la posizione del governo.
E poi, l’Italia non ha firmato il documento Ue a sostegno dell’Aja, contro le sanzioni americane. Infatti, ormai in carica, Trump ha preso di mira anche la Cpi, di cui gli Usa nemmeno fanno parte. La Casa Bianca ha messo sanzioni sulla Corte e i suoi membri, dando come motivazione i presunti attacchi illeciti dei giudici nei confronti di americani e israeliani (ossessioni parallele su i cieli di Washington e Roma). E intanto, il presidente Usa si prepara ad acquistare Gaza, nella totale noncuranza del diritto internazionale, rispolverando ed esasperando la dottrina Eisenhower, che considerava il Medio Oriente una provincia americana, e che già Kennedy criticava, insieme al concetto di Pax Americana. Perciò, ecco lì Israele, già 51esima stella sulla bandiera Usa, al di là delle aggressive pretese di Trump su Canada e Groenlandia. E dati i suoi governanti attuali, l’Italia sembra tristemente indirizzata ad occupare la stella 52…
L’autore: Matteo Cazzato è dottore in filologia, ricercatore e insegnante