Definire significa necessariamente limitare, ridurre a un’etichetta la complessità delle cose, porre entro dei confini ben precisi l’identità specifica di ciascuno. Definire una persona “disabile” significa condannarla alla sua malattia, ricondurre tutte le sfumature della soggettività a un’unica grande categoria, quella della mancanza. È per evitare questo stigma che il decreto legislativo n. 62/2024 ha aggiornato la terminologia: “persona con disabilità” non indentifica un individuo con la sua menomazione ma separa le qualità intrinseche della persona da una condizione oggettiva di svantaggio. Il 15 febbraio è la giornata mondiale della Sindrome di Angelman, ma le parole e la sensibilizzazione pubblica non bastano se non sono accompagnate da un effettivo riconoscimento sociale dei diritti delle persone con disabilità.
La Sindrome di Angelman, scoperta dal pediatra inglese Harry Angelman nel 1965, è una malattia genetica rara che colpisce circa un bambino ogni 15mila, causata da un’alterazione di un gene del cromosoma 15. È caratterizzata da un grave ritardo dello sviluppo psicomotorio, linguaggio verbale assente, epilessia, deficit dell’equilibrio dinamico e movimenti scoordinati con tremori agli arti. I primi sintomi si manifestano tra i 6 i 12 mesi, mentre le crisi epilettiche compaiono intorno ai 2-3 anni di vita (nell’80-85% dei casi). Spesso sono presenti anche problemi gastrointestinali, visivi e ortopedici (curvatura anormale della colonna vertebrale). Il comportamento tipico rivela una certa facilità nella relazione, iperattività motoria, ipereccitabilità con ridotto span attentivo e disturbi del sonno. Un altro tratto frequente, presente nell’80% dei casi, è la microcefalia, che si rende evidente dopo i 2 anni di vita.
«Quando abbiamo saputo che nostro figlio aveva la SA, chiaramente la notizia è stata devastante», racconta a Left Ferruccio, il papà di Federico. «Il mondo ci è crollato addosso, perché tutti i sogni e le aspettative che una giovane coppia si fa quando sta per nascere il primo figlio vengono a crollare, soprattutto quando si tratta di una sindrome così rara. Paura e sconforto sono state le sensazioni prevalenti durante quel periodo. A darci un po’ di sollievo è stato conoscere le altre famiglie di bambini con SA, che abbiamo incontrato grazie all’associazione ORSA (Organizzazione Sindrome di Angelman).». Oggi Federico ha 14 anni, frequenta la prima superiore e gioca a baskin (basket inclusivo). È ben voluto dai compagni e dagli insegnanti, e affronta con serenità questa fase della sua vita. Tuttavia gli episodi di discriminazione non sono mancati in passato.
«Le discriminazioni più grandi che abbiamo vissuto finora paradossalmente sono arrivate proprio da parte dello Stato, nei confronti dei diritti di nostro figlio – diritti che in buona parte gli sono stati negati nei primi anni di vita e solo tramite una causa civile all’INPS siamo riusciti a far riconoscere. Dopo la diagnosi di Angelman, a Federico sono state attribuite l’invalidità civile al 100% e la L.104, entrambe però con rivedibilità della diagnosi. La giustificazione è stata che, essendo molto piccolo ancora, poteva esserci margine di miglioramento. Per noi era una cosa normale, perché avevamo fiducia nella commissione che se ne occupava, un’equipe di professionisti costituita da medici, assistenti sociali, e via dicendo».
«Al primo convegno dell’Orsa a cui abbiamo partecipato abbiamo scoperto che, secondo il decreto ministeriale 02/08/2007, la Sindrome di Angelman prevede sì l’invalidità civile e l’handicap grave (L. 104 art.3 c.3) ma con l’indennità di accompagnamento, mentre a noi era stata attribuita quella di frequenza; soprattutto, non è considerata rivedibile. Volevamo fare ricorso ma non potevamo perché era troppo tardi. Abbiamo dovuto aspettare due anni per fare una seconda visita di accertamento e di nuovo l’invalidità civile non è stata riconosciuta come “non rivedibile”. Ci siamo quindi rivolti a un avvocato per fare causa all’INPS, che abbiamo poi vinto. Altre circostanze discriminatorie si sono verificate a scuola, dove abbiamo sempre dovuto lottare per ottenere l’assegnazione del massimo delle ore di sostegno o della presenza della figura dell’educatore nelle ore mancanti».
Episodi come questi si verificano tutti i giorni nella vita delle persone con disabilità, storie di diritti calpestati che cadono nel silenzio. Lontano dalle luci dei riflettori, gli individui più fragili pagano il prezzo di vivere in una società ultra-competitiva che non ha tempo di badare a chi rimane indietro. «Tutti si riempiono la bocca di belle parole come inclusione, solidarietà, partecipazione ecc., ideali sicuramente nobili, ma nella realtà quotidiana le cose vanno diversamente. Tutto viene scaricato sulle spalle delle famiglie, che devono costantemente rimboccarsi le maniche ed essere disposte a battersi: se non lo fanno, vengono emarginate. Alle nuove famiglie che hanno appena scoperto la disabilità del proprio figlio/a dico sempre che la prima cosa da fare in assoluto è accettare la situazione. La seconda: lottare per far valere i propri diritti. Perché quella è veramente la discriminazione più grande. Nessuna malattia è così rara da non meritare l’attenzione».
L’autore: Elvis Zoppolato è docente, giornalista e saggista
In apertura Ritratto di fanciullo con disegno di Giovanni Francesco Caroto. Sembra che il soggetto ritratto potesse essere affetto dalla sindrome di Angelman