Dice qualsiasi vocabolario o enciclopedia che la diplomazia è quell’arte che si esercita attraverso la conduzione di negoziati, partendo dal principio del riconoscimento diplomatico di Stati, individui e gruppi. Non esiste diplomazia che non parta dal riconoscere la legittimità di chi si ha di fronte, dal riconoscerne la dignità, anche nelle sue colpe.
Il presidente Trump ha aperto un canale diplomatico con Vladimir Putin, riabilitandolo sulla scena internazionale, ma non sta conducendo alcun tipo di diplomazia con il presidente ucraino Zelensky. Molti osservatori definiscono quella con il presidente ucraino una trattativa, con ingiustificato ottimismo: non viene riconosciuto nella sua dignità politica, ma interpellato come portatore di merce.
Anche la trattativa, però, pretende uno scambio di proposte e controproposte che preludono alla conclusione di un accordo. In questo caso c’è solo una proposta sul tavolo: accettare un’invasione economica nordamericana delle proprie terre per fermare l’invasione militare russa. Vi sono, insomma, tutti i connotati di un’usura. Ci vuole molta fantasia per chiamare tutto questo pace.
Il Cremlino ha fatto sapere che “la politica estera degli Stati Uniti adesso coincide” con la loro. Anche qui c’è un evidente svarione: l’uso della forza non è politica, ma imperialismo. C’è chi lo fa con i carri armati e chi lo attua con lo strozzinaggio. Uno la chiama “operazione speciale”, l’altro la chiama “pace”. E non è un caso che si assista al riallineamento politico: chi segretamente amava l’uno, ora può pubblicamente dichiarare l’amore per l’altro.
Buon martedì.