Appia è stata la prima grande arteria viaria del mondo antico, celebrata da un sito Unesco che vorrebbe preservarne lo straordinario equilibrio tra cornice naturale e monumenti: un unico grande museo a cielo aperto, da salvare - scriveva Antonio Cederna - «religiosamente intatto, per la sua storia e le sue leggende, per le sue rovine e i suoi alberi, per la campagna ed il paesaggio, la vista, la solitudine, il silenzio, la sua luce, le sue albe e i suoi tramonti» (“I Gangsters dell’Appia”, Il Mondo 1953). In questo scenario di eccezionale spessore archeologico, che le battaglie d’opinione della seconda metà del Novecento hanno contribuito a salvaguardare, è riaffiorato poco più di vent’anni fa un piccolo frammento di storia contemporanea, racchiuso all’interno di due tubi di piombo sigillati e datati “XXX - IX - MXCXXIX”. Si tratta della corrispondenza scambiata tra un funzionario delle ferrovie dello Stato, Ugo H., e una giovane collaboratrice, Letizia L., nel corso di una relazione durata poco meno di tre anni e troncata dal trasferimento della ragazza in un’altra città e forse da un altro evento che si intuisce appena.
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Il ritrovamento di lettere nascoste fra le pietre dell’Appia antica ha spinto l’archeologa Rita Paris a una lunga ricerca che ora è sbocciata in un suo affascinante libro, Lettere d’amore della via Appia