Dopo il successo a Roma e in altre città, la performance "The process (silence please)" dell'artista e attrice il 22 marzo approda al Vittoriano, sfidando l'ombra del Vate

Fino a che punto siamo disposti a dire sì? È una domanda che ci interroga profondamente e che l’artista Marilina Succo (in foto) formula ad incipit della sua performance The process (Silence please), mettendo a nudo se stessa. Fino a che punto siamo disposti a sentire a pelle l’altro, le sue esigenze più profonde, fino a che punto siamo disposti a esporci allo sconosciuto, con la fiducia che come direbbe Terenzio «Homo sum, humani nihil a me alienum puto». Nulla di ciò che umano mi è estraneo.

Nella latinità il maschile era misura di tutte le cose ed era sempre un “lui”a prendere l’iniziativa. Senza parlare e armata di gessetto e lavagna Marilina Succo sul palco ribalta i ruoli decidendo «di proiettare e definire il proprio sguardo nello sguardo dell’altro», provocando l’altro, spingendolo a mettersi in gioco a 360 gradi. Dopo il successo di The process a Roma e in altre città, il 22 marzo alle 15 approda al Vittoriale (Gardone Riviera, Bs) sfidando l’ombra del Vate, portando scompiglio nella cura maniacale con cui concepì quel monumento a se stesso.

Per alcuni aspetti la performance di Marilina Succo potrebbe far pensare a quella di Marina Abramovich al MoMA di New York, The Artist is present (2010). Ma, forte della propria poliedrica identità di attrice, scultrice, pittrice, Succo prova a spostare ancora più in là l’asticella della sfida: non vuole essere l’artista che si espone come Abramovich perché chiunque possa esercitare violenza su di lei, ma la donna artista che, esponendosi, interroga l’altro invitandolo a mettersi in discussione. Info: vittoriale.it