Novanta morti per suicidio nel 2024. Venti nei primi tre mesi del 2025. Le celle scoppiano, i cellulari entrano più facilmente dei medici. Mancano ottomila agenti. E il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è senza guida da tre mesi. Non per caso, ma per scelta.
Il governo Meloni ha deciso che le carceri possono attendere. O meglio: possono restare proprietà privata di un sottosegretario, Andrea Delmastro, che da mesi si comporta come capo non nominato, premiando agenti in diretta Rai e scegliendo i suoi fedelissimi. Il nome c’è: Lina Di Domenico, ma il Quirinale – cui spetta la nomina – si è ritrovato spettatore di un teatrino che scavalca la Costituzione. E tace.
Nel frattempo, chi è in carcere comunica con l’esterno come se fosse fuori. Gratteri denuncia, i sindacati implorano, i medici mancano, i morti si contano. Ma Delmastro resta. Perché le carceri, dice, sono “roba sua”. E se la gioca come una scalata di partito, con “intima gioia”.
Ci hanno spiegato che la sicurezza è una priorità. Ma il carcere, che dovrebbe essere specchio della civiltà, resta campo di battaglia ideologica. Con i corpi dei reclusi a fare da sfondo.
Buon lunedì.