Il delitto di Garlasco è diventato il pretesto perfetto per Carlo Nordio. Un ministro della Giustizia che, pur avendo giurato fedeltà alla Costituzione, piccona ogni volta che può la giustizia italiana con la grazia di chi non cerca soluzioni, ma vendette ideologiche. Stavolta, nel salotto televisivo buono, ha definito “irragionevole” la condanna di Alberto Stasi. Non per discutere una sentenza — che non compete a un ministro — ma per colpire l’intero impianto giuridico del Paese. Il messaggio è chiaro: se anche un solo giudice ha assolto, allora nessuno dovrebbe mai più poter condannare. Così si costruisce l’impunità sistematica.
Nel frattempo, Forza Italia sfila accanto con la solita ossessione per i trojan, accusando i magistrati di violare la privacy, mentre lavora a silenziare anche gli strumenti d’indagine. Un’agenda coerente: meno poteri a chi indaga, più alibi per chi può permettersi difese costose e l’intercessione politica.
Ma a scandalizzare è anche l’inerzia complice di certi giornali, inchiodati alla cronaca giudiziaria come fosse gossip d’appendice. La giustizia trasformata in feuilleton, i processi ridotti a fiction, le sentenze giudicate in base all’audience.
In questa deriva, il caso Garlasco non è un mistero da risolvere. È diventato l’alibi perfetto per una giustizia in cui si processano i processi. Se nessuno è sicuramente colpevole allora la credibilità stessa della giustizia è in discussione. E se nessuno si indigna, è perché l’informazione preferisce l’intrigo al principio.
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