Nel Paese del “Meno male che Giorgia c’è”, le cattive notizie non esistono. Se esistono, si ignorano. Se insidiano il racconto del governo-fenomeno, si trasforma la realtà in folclore da social. E così mentre l’Istat certifica che il carrello della spesa si è mangiato i salari e l’Inps conferma che in cinque anni i lavoratori hanno perso nove punti di potere d’acquisto, il governo preferisce parlare d’altro.
I rincari non si fermano: +24,8% il caffè, +7,2% le uova, +15,8% gli agrumi. In estate, quando il Paese prova a respirare, scatta l’assalto finale al portafoglio. Voli a +38,7%, traghetti +19,6%. Intanto, in Parlamento, il governo tace. Gli stipendi più bassi d’Europa sono diventati silenziosamente il nuovo standard. Ma si promettono bonus e “tagli del cuneo” come palliativi elettorali.
Mentre si prepara la tempesta dei dazi trumpiani, che rischia di colpire duramente l’export italiano e aumentare la cassa integrazione, Meloni si appende al paracadute retorico della Nazione. Nessuna proposta concreta, solo fede nel marketing. Il salario reale resta fuori dall’agenda, i sindacati europei chiedono un nuovo “Sure” per difendere l’occupazione, ma l’Europa sociale non abita più qui.
È tutto perfettamente coerente. Chi vive con mille euro al mese non fa rumore, non turba i talk show, non contribuisce ai sondaggi. La propaganda vola, mentre gli italiani restano a terra, senza fiato. La realtà è inflazionata quanto i prezzi: pesa, ma non conta. E il governo, a ogni dato scomodo, gira canale.
Buon giovedì.




