Un pm che perde la cultura del giudice diventa una parte, e basta. Lotta per vincere, non per accertare la verità

Separare i pubblici ministeri dai giudici per “disarticolare le correnti”. Così il governo ha impacchettato la sua riforma della giustizia: con la carta della modernità e il fiocco della retorica anticasta. Il risultato, però, non è un sistema più equo, ma una magistratura più esposta al potere politico. Lo dice con chiarezza Gherardo Colombo: “Danneggia i cittadini, non i magistrati”. Perché un pm che perde la cultura del giudice diventa una parte, e basta. Lotta per vincere, non per accertare la verità.

Dietro il voto in Senato – con brindisi, buffet e dediche a Berlusconi – c’è l’inizio di un’altra stagione: quella della sottomissione silenziosa del potere giudiziario. Con un Csm svuotato e selezionato a sorteggio, con una “Alta Corte” che giudicherà i magistrati in un clima avvelenato, con una separazione che isola chi dovrebbe cercare anche le prove a favore. Il garantismo evocato dai banchi della maggioranza è il travestimento di chi ha un conto in sospeso con la magistratura.

Opposizioni, magistrati e giuristi lo denunciano: è una torsione autoritaria. E ora si punta al referendum. La destra sogna di vendicare anni di inchieste. Ma chi ha ancora a cuore la giustizia come diritto, e non come favore, dovrà rispondere. L’ultima parola sarà degli italiani. E potrebbe fare molto più male di un avviso di garanzia. Perché il referendum non sarà solo su una riforma, ma su un’idea di Paese: quello in cui il potere si processa o quello in cui il potere si protegge.

Buon mercoledì.

 

Foto AS