Le cinque giornate di lutto nazionale per il papa sono solo la punta dell’iceberg di una serie sconcertante di provvedimenti clericali dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. E l’opposizione resta inerte

La democrazia in Italia è sempre stata incompiuta. Fin dalla sua nascita, il 2 giugno 1946, la Costituzione all’articolo 2 garantisce i diritti inviolabili della persona, anche nelle formazioni sociali in cui si riconosce, e all’articolo 3 afferma l’uguaglianza di fronte alla legge senza distinzione di religione. Ma subito dopo, agli articoli 7 e 8, precisa che c’è qualcuno più uguale degli altri, che ci sono organizzazioni a cui non si applicano le regole che valgono per le associazioni dei comuni mortali. Il concordato con la Chiesa cattolica e il meccanismo delle intese con confessioni religiose, peraltro scelte arbitrariamente dal governo di turno, dovrebbe far riflettere chi con un po’ di leggerezza sostiene che abbiamo la costituzione più bella del mondo e che non la si deve toccare. È vero, con i tempi che corrono le revisioni sarebbero in peggio, ma bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere apertamente che la nostra carta fondamentale conserva un ingombrante relitto di clerico-fascismo e che gli articoli 7 e 8 dovrebbero essere espunti e magari sostituiti con l’affermazione esplicita del principio di laicità dello Stato. Perché una democrazia liberale non può dirsi tale se non è laica.

Si potrebbe obiettare che la Corte costituzionale, con la sentenza 203/1989, ha già stabilito che la laicità è un principio supremo della Repubblica, ossia che ha una valenza superiore a quella di altre norme di rango costituzionale.

Seppur importantissima è rimasta però una dichiarazione sostanzialmente astratta, quando invece sarebbe stato necessario passare ai fatti. Perché per recuperare il senso della democrazia in Italia è fondamentale recuperare il senso della laicità, fare in modo che sia vissuto dai rappresentanti istituzionali e dunque produca cambiamenti. Può sembrare assurdo

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