«Noi giornalisti palestinesi siamo bersagli. Israele sta segnando di sangue il presente e il futuro del popolo palestinese», denuncia il giornalista palestinese Al-Jabary: «Gaza è un cimitero a cielo aperto: noi giornalisti siamo nel mirino di Israele». Dopo oltre 200 giornalisti palestinesi uccisi la voce di Al-Jabary ci arriva come una testimonianza diretta e fondamentale.
«Ciò che accade a Gaza supera ogni incubo più nero, è impossibile descriverlo ma come giornalisti abbiamo il dovere di riportare la verità. Stiamo vivendo un genocidio nell’inerzia più totale della comunità internazionale».
Mentre centinaia di migliaia di palestinesi sono costretti ad un esodo forzato da Gaza City il giornalista Hassan Al-Jabary ci racconta la tragedia in corso nella Striscia. Questa intervista è stata interrotta più volte dai bombardamenti israeliani, intervallata da urla e il suono delle sirene. Al-Jabary ha una pagina instagram seguita da migliaia di persone, ogni giorno i suoi occhi ci raccontano i colpi inflitti da Israele sulla vita, ora più che mai stravolta, del popolo palestinese. Ma i suoi racconti spiegano anche la resistenza e la perseveranza dei gazawi.
«Il mio nome è Mohammed Hassan Al-Jabary, ho 27 anni. Sono nato e cresciuto a Gaza. Questa città mi ha insegnato la pazienza e la resilienza fin da piccolo. Sono cresciuto in un ambiente pieno di sfide quotidiane, tra il rumore dei bombardamenti e la speranza di vivere. Questo ha plasmato la mia identità e la mia determinazione a trasmettere la verità al mondo».
Hassan, la sua vita sarà stravolta, di cosa si occupa ora?
Ero e sono un giornalista freelance, non affiliato a nessun gruppo politico o di parte. Il mio lavoro è documentare gli eventi quotidiani a Gaza con assoluta credibilità, dai bombardamenti di case e ospedali alla vita dei civili, soprattutto bambini, che soffrono durante gli sfollamenti, vivono con la fame e la paura costante. Paura di perdere i genitori o un pezzo del loro corpo.
Cosa significa nascere e crescere nella Striscia?
Nascere qui significa crescere in un contesto di resilienza e resistenza. Un senso di orgoglio matura in noi fin da bambini, perché la vita a Gaza è piena di sfide. Grandi e piccole. Eppure, nonostante questo, troviamo gioia nelle cose più semplici: i bambini che giocano nelle strade strette, le famiglie che si riuniscono e la solidarietà della comunità in tempi di crisi. Ora siamo in una nuova fase però.
Dal blocco totale allo sterminio totale. Ci sono definizioni per quello che Israele sta commettendo?
Ciò che sta accadendo a Gaza trascende ogni definizione. L’occupazione sta praticando le forme più atroci di uccisione sistematica di civili. Dall’incendio di case all’attacco di ospedali e scuole, lasciando le persone senza protezione o mezzi di sussistenza. È atroce. Questa è una chiara definizione di genocidio: un tentativo di sterminare un intero popolo con metodi sistematici, pianificati e brutalmente disumani.
Da giornalista si sarà quindi confrontato con la morte e la distruzione.
Noi giornalisti abbiamo documentato scene di uccisioni attraverso incendi, bombardamenti, mutilazioni e fame estrema. Abbiamo anche documentato lo sfollamento di massa di famiglie e la perdita delle loro case. Abbiamo visto bambini morire davanti ai nostri occhi, senzatetto e anziani soffrire per la mancanza di cibo e acqua. È un cimitero a cielo aperto. Ogni nuovo giorno racconta mille tragiche storie, alcune delle quali non possono essere descritte a parole.
In Occidente c’è chi descrive Gaza come un’area nelle mani esclusivamente dei terroristi. Si giustifica quindi l’uccisione di 20.000 bambini palestinesi perché in fondo è l’unica strada per estinguere Hamas.
Questa è una giustificazione falsa e criminale. Un pensiero malato di uno Stato assassino. La resistenza si svolge sui campi di battaglia, non negli ospedali, negli asili nido o nei rifugi. Eppure loro attaccano lì. Uccidere bambini, donne e civili innocenti è un crimine di guerra contro l’umanità che non può essere giustificato da alcuna ragione politica o militare.
Cosa la sta segnando di più?
La cosa più dolorosa è vedere un essere umano morire di fame davanti agli occhi del mondo, senza che nessuno si muova per aiutarlo. Assisto a questo tutti i giorni. Fame, deportazioni e bombardamenti continui creano una tragedia quotidiana, distruggendo la vita di intere famiglie. Puoi capire il significato di questa tragedia solo vivendola in prima persona o se assistendo alla morte di bambini inermi.
Gaza City è attualmente sotto invasione. Cosa porterà questa azione? E’ un punto di non ritorno?
Le conseguenze sono catastrofiche: l’uccisione di migliaia di persone innocenti, la distruzione di case, ospedali e scuole, lo sfollamento di massa di milioni di persone e il collasso di servizi di base come elettricità, acqua e sanità. Questa invasione lascerà un impatto psicologico duraturo su bambini e giovani e gli effetti della guerra saranno visibili in tutta la società per i decenni a venire. Stanno devastando il presente e il futuro di un popolo.
I giornalisti sembrano essere il bersaglio numero uno dell’IDF, più dei membri di Hamas…
Siamo sempre minacciati perché per Israele siamo una minaccia. Il governo di Tel Aviv non vuole che raccontiamo la situazione di Gaza, da Gaza. Più di 260 dei nostri colleghi giornalisti sono stati uccisi semplicemente perché il loro compito era quello di trasmettere la verità. L’occupazione prende di mira e monitora chiunque lavori per denunciare i suoi crimini qui nella Striscia di Gaza. Siamo bersagli.
Futuro. Una parola difficile da scandire in questo momento.
Il futuro è difficile e incerto ma dipende dalla nostra fermezza e dalla determinazione nel difendere i nostri diritti e la nostra terra. I palestinesi continueranno a resistere e a chiedere giustizia, nonostante la tragedia, finché il sogno della libertà non si realizzerà. Nonostante il dolore, la speranza esiste ancora, soprattutto nella determinazione dei bambini e dei giovani che non hanno perso il loro spirito vitale, la loro sete di giustizia.
Usciamo un attimo da Gaza. Cosa possono fare i Paesi occidentali per fermare Israele?
Prima di tutto devono volerlo. Dopodiché possono esercitare pressioni politiche concrete su Israele: imporre sanzioni, boicottare le aziende legate all’occupazione e promuovere i Diritti Umani a livello internazionale. I Paesi occidentali hanno il potere di influenzare l’occupazione, di limitarla in prima battuta ed isolare l’entità israeliana. Ci sono le istituzioni ma è fondamentale anche la volontà del popolo occidentale e la sua richiesta di giustizia per tutti noi. Dobbiamo sconfiggere Israele promuovendo un’alleanza di popoli per i diritti e la giustizia.
Nella mia città, Reggio Emilia, ci sono molte aziende, comprese partecipate pubbliche, che hanno legami con industrie o centri israeliani coinvolti nell’occupazione della Palestina. Pensa che i boicottaggi possano essere un’arma utile?
Sì, i boicottaggi sono un modo efficace per dimostrare il rifiuto dell’occupazione da parte della comunità internazionale. A partire dai Comuni. Quando le aziende smettono di sostenere le industrie militari israeliane, la capacità dell’occupazione di compiere i suoi crimini si riduce e i boicottaggi diventano un potente strumento di pressione che può aiutare i palestinesi a difendere i propri diritti. A godere di maggiori libertà.
Alcuni ricercatori e studiosi paragonano il sionismo israeliano al nazismo del Terzo Reich. Un paragone che sta suscitando molte discussioni, come la pensa?
Ogni contesto ha le sue specificità storiche e politiche. Ma innegabilmente qui stiamo vivendo politiche di pulizia etnica e discriminazione contro un intero popolo. I regimi usano la violenza e leggi repressive per prendere di mira le popolazioni civili. La cosa più importante è riconoscere i crimini e chiamare i responsabili a risponderne.
Come vede il suo futuro e quello della sua famiglia? Quali progetti aveva in cantiere prima dell’invasione israeliana?
Sognavamo una vita pacifica, con i nostri figli che studiavano e giocavano in sicurezza e le nostre famiglie che vivevano in pace. L’occupazione ha distrutto tutto questo. Ora il nostro obiettivo è la sopravvivenza, la fermezza e il continuare a trasmettere la verità al mondo, cercando al contempo di proteggere i nostri figli dalla fame, dalla paura e dai bombardamenti.
L’autore: Cosimo Pederzoli è antropologo e attivista della campagna SaveMasaferYatta




