L'attualità di Bogdanov e Gramsci è al centro del libro di Noemi Ghetti, Andreas Iacarella e Örsan Senalp, in libreria dal 26 settembre edito da Donzelli, eccone un estratto

Dal 26 settembre in libreria il saggio di Noemi Ghetti, Andreas Iacarella e Örsan Senalp Bogdanov, Gramsci e l’altra rivoluzione. Cultura, organizzazione, egemonia (Donzelli ed.), in cui a partire dalla “scoperta” della traduzione di Stella Rossa, il popolare romanzo-utopia di Aleksandr Bogdanov, che nel 1922 a Mosca Gramsci propose a Giulia Schucht con il proposito di pubblicarlo in Italia, a sei mani viene ricostruita la figura a lungo sconosciuta del grande bolscevico, e la convergenza tra i due grandi marxisti nell’originale interpretazione in chiave culturale del marxismo, che nell’attuale crisi delle sinistre può offrire validi spunti di ricerca. Ne proponiamo un estratto dalle pagine iniziali.

«Conosco Bogdanov da tempo e bene, lo stimo molto perché è un eretico, e che c’è di meglio di un eretico tra gli uomini?». Così Maksim Gor’kij nell’aprile 1927 in una lettera da Sorrento all’amico Michail Prišvin definiva lo scienziato e scrittore bolscevico. Lo conosceva dai tempi dell’aspra polemica con Lenin seguita alla Rivoluzione del 1905, e poi dall’ospitalità e stretta collaborazione nella propria dimora a Capri, che nel 1909 fu sede della prima Scuola operaia. Ideata da Bogdanov con il cognato Anatolij Lunačarski, intendeva promuovere lo sviluppo di un marxismo collettivista e anti-autoritario, alternativo al dogmatismo del materialismo storico allora vigente. Il progetto fu ripreso nel 1910-1911 con la Scuola operaia di Bologna, e nel 1917, alla vigilia della Rivoluzione d’ottobre, si sviluppò ulteriormente nella fondazione del Proletkul’t, Organizzazione culturale-educativa proletaria.

Allontanato definitivamente dalla scena politica e culturale per le sue idee eterodosse nel 1923 e divenuto, in quanto medico, fondatore di un pionieristico istituto ematologico sperimentale, Bogdanov sarebbe morto nel 1928 a seguito di un’autotrasfusione di sangue infetto.

L’anno successivo in una cella di Turi, dove scontava la condanna a oltre venti anni di carcere, Gramsci iniziava a scrivere le «note dantesche» sul Canto X dell’Inferno, detto appunto degli eretici, coloro «che l’anima col corpo morta fanno», annunciato nel piano di lavoro l’8 febbraio 1929, alla vigilia del Concordato tra la Chiesa e lo Stato italiano. Il dirigente comunista dava così inizio alla critica dell’estetizzante metodo crociano, da cui nei Quaderni del carcere prende le mosse l’originale teorizzazione delle categorie di egemonia culturale e di filosofia della praxis. Alternativa oltre che all’idealismo, anche al materialismo storico, essa risultava certamente eretica, secondo il significato etimologico del termine, rispetto al marxismo-leninismo ortodosso, la dottrina che dopo la morte di Lenin fu codificata da Stalin come spietato strumento di eliminazione del dissenso. La notizia delle scandalose lezioni gramsciane al collettivo dei compagni in carcere, il celebre «cazzotto nell’occhio» del rapporto del compagno di prigionia Athos Lisa, arrivò anche a Mosca e gli valse, di fatto, una scomunica. Vittima a distanza, fallita all’ultimo per un contrordine di Togliatti giunto da Mosca anche la liberazione mediante uno scambio di prigionieri, l’eretico Gramsci sarebbe morto in una clinica romana il 27 aprile 1937, una settimana dopo la fine della sua condanna, senza potere riabbracciare la moglie Giulia Schucht e i figli, il primogenito Delio e il secondogenito Giuliano, che non poté mai conoscere.

La storia degli eretici, da sempre, continua dopo la loro morte con il sequestro, l’occultamento e perfino il rogo delle loro opere. Che tuttavia a volte riemergono anche dopo tanto tempo, ostinate e preziose per chi sappia coglierle, e abbia l’interesse a studiare quanto è riuscito a passare attraverso lo stretto vaglio di censure anche postume, permettendoci di cogliere quanto può ancora parlarci nel presente.

 Questa è la storia di «una piccola scoperta», come Gramsci nella lettera alla cognata Tatiana Schucht del 26 agosto 1929 definisce quello che sarà il contenuto della «nota dantesca» sul canto degli eretici, spunto iniziale della critica alla distinzione di Benedetto Croce tra struttura e poesia nella Divina Commedia (cfr. Ghetti, Gramsci nel cieco carcere degli eretici, L’Asino d’oro ed. 2014). La scoperta, attraverso due minute di una lettera mai inviata di Giulia Schucht a Gramsci dell’11 ottobre 1922, della singolare convergenza di due eterodossi rivoluzionari, nati nella seconda metà dell’Ottocento: il russo Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov nato Malinovskij (Sokółka 1873-Mosca 1928) e il sardo Antonio Gramsci (Ales 1891-Roma 1937). Una corrispondenza solo qualche volta ipotizzata e per lo più negata, che nel 2016 trovò una doppia conferma in testimonianze scritte fino ad allora ignorate. E che, forse scomoda, tale rimase successivamente anche in ambiti specialistici (cfr. Ghetti, La cartolina di Gramsci. A Mosca tra politica e amori, Donzelli 2016).

A sei mani abbiamo ricostruito le vicissitudini di un’affinità, o meglio di convergenze parallele di ricerca tra Russia e Italia, che infine si incontrarono su una questione, la cultura proletaria, talmente innovativa e dirimente nel contesto rivoluzionario degli inizi del Novecento, da rendere difficile anche la vita dei due grandi uomini, e drammaticamente prematura la loro fine. E da rimanere quasi del tutto sconosciuta agli studiosi per quasi mezzo secolo, fino a quando l’apertura degli archivi sovietici e la caduta del muro di Berlino consentirono un accesso progressivamente più largo ai documenti, e una maggiore circolazione delle ricerche storiche tra Est e Ovest europeo, che presto giunse a toccare anche gli Stati Uniti. Portarne alla luce le fonti e illustrarne i motivi riguarda sia la storia della filosofia occidentale dalle origini, che quella del pensiero politico dell’età moderna. In particolare quello del marxismo e delle sue interpretazioni, a partire dalle rivoluzioni russe del Novecento: una questione che tocca anche la ricostruzione integrale del lascito di Marx, da quello degli scritti giovanili, che solo allora stavano lentamente riemergendo, a quello dell’ultimo decennio di vita, ancora in corso.

Nella generale crisi della sinistra proveremo anche a presentare l’attualità del contributo alla conoscenza che sia Bogdanov che Gramsci, nell’ambito di una concezione antidogmatica della realtà umana, individuarono come fondamentale e originale istanza: l’unificazione di spirito e materia, di soggetto e oggetto, di individuo e collettività, di pensiero e azione, in quella che il primo definì «filosofia dell’esperienza vivente» o «dell’azione», il secondo nei Quaderni del carcere elaborò come «filosofia della praxis». L’istanza che Marx aveva lasciato aperta nell’undicesima delle Tesi su Feuerbach, appartenenti agli scritti giovanili, dei quali a partire dal 1924 sotto la direzione di David Rjazanov ebbe inizio la pubblicazione nella mega, l’edizione critica completa delle opere di Marx ed Engels. E che Gramsci in carcere traduceva da un’antologia tedesca.

Scritte nel 1845 e pubblicate da Engels solo nel 1888, le Tesi presentavano Marx non come il teorico del materialismo storico fino ad allora noto, ma come l’ideologo originale del socialismo che, nel centenario della sua nascita, Gramsci già rivendicava nell’articolo Il nostro Marx, richiamando dalle prime righe gli stessi fondamenti dell’impostazione di Bogdanov: collettivismo proletario e organizzazione. La storica chiamata del proletariato internazionale al dovere dell’organizzazione del Manifesto del Partito Comunista pubblicato a Londra nel febbraio 1848.

In foto: Bogdanov (a destra) gioca a scacchi con Lenin sotto lo sguardo di Gor’kij, col cappello di traverso e Anatolij Lunačarskij, seduto a fianco di Lenin, a Villa Blaesus, Capri, nel 1908 foto Wikipedia

L’appuntamento: Il volume sarà presentato alla presenza degli autori da Ernesto Longobardi, Guido Liguori e Cammilla Sclocco lunedì 3 novembre p.m. presso la Fondazione Basso di Roma.

L’autrice: Docente e saggista, Noemi Ghetti ha pubblicato numerosi libri ed è studiosa di Gramsci