Il Mezzogiorno era unito sotto la corona del normanno Ruggero II fin dal XII secolo. Dopo innumerevoli vicissitudini e cambiamenti sovrani, al principio del Cinquecento diventava un vicereame spagnolo, quindi austriaco (1707-1734), fino alla riconquista della propria autonomia nel fuoco dei conflitti dinastici europei, quando era assegnato a don Carlos di Borbone, il futuro Carlo III di Spagna dal 1759. Una storia lunga e tribolata, quindi, che coinvolgeva per secoli una porzione assai consistente della Penisola, facendone il più importante ed esteso regno italiano preunitario, in apparenza il candidato naturale al quale affidare la guida del processo risorgimentale.
Il saggio di Pino Ippolito Armino (Storia dell’Italia meridionale, Laterza, 2025) parte più o meno implicitamente dall’assunto di questa centralità del Mezzogiorno, per poi indagare le ragioni della successiva deriva, con la conseguenza di una crescente e (per molti versi) paradossale marginalità politica, sociale ed economica. Un processo di decadenza che doveva confrontarsi e subire il protagonismo sabaudo che, passando per sconfitta della Prima guerra d’indipendenza, diventava invece il punto di riferimento del liberalismo e del costituzionalismo nazionale. Un regno di Sardegna, rimarca Armino, che, pur aderendo alle pieghe del processo della Restaurazione post-napoleonica, aveva però avuto la ventura (storica) di non massacrare le proprie élite più illuminate e intraprendenti, come invece era accaduto a Napoli nel 1799 in occasione della sfortunata rivoluzione giacobina. Un bagno di sangue che scandalizzava l’Europa e, ancora nel 1815, spingeva i rappresentanti della Santa Alleanza a imporre al Borbone stringenti condizioni per il ritorno sul trono, a iniziare al divieto di epurare e di vendicarsi dei sudditi che aveva collaborato con i francesi. Allo stesso tempo, il Piemonte godeva anche di una fortunata rendita di posizione geografica, potendo rapidamente comunicare e fare sistema con le rivoluzioni industriale e commerciale in corso nell’Europa centro-settentrionale; esattamente il contrario di quanto accadeva al regno duosiciliano, privo di una robusta e diffusa borghesia autoctona e, dopo lo snodo cruciale del 1848, fermamente attestato su una concezione autocratica del proprio potere regale, pertanto Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivistaQuesto articolo è riservato agli abbonati
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