Fernando Rennis racconta per Left il suo nuovo libro Pop is dead, in cui traccia la storia dei Radiohead: un percorso fra metamorfosi musicali e attese, alla vigilia del tour che nel novembre 2025 porterà la band anche a Bologna

A Copenaghen è un sereno pomeriggio di fine estate. Al Kihoskh, un bar e alimentari situato nel quartiere Vesterbro, i clienti stanno facendo la spesa quando qualcuno nota alcune cartoline bianche sugli scaffali delle riviste. Guardando meglio, quello che salta all’occhio è la strana struttura in stencil azzurro, ma soprattutto la scritta “Radiohead”. Ancora più in alto, l’informazione più importante: “December 01 02 04 05 2025, København, Denmark”. Quando la foto della cartolina viene caricata su Reddit, i mesi di indiscrezioni sul ritorno dal vivo della band di Oxford dopo sette anni sembrano avere finalmente conferma. Mentre le discussioni tra chi è convinto che si tratta dell’ennesima trovata promozionale dei Radiohead e gli scettici vanno avanti, altre cartoline vengono trovate al Barbican Centre di Londra, al Museumsinsel di Berlino e alla Sala Equis di Madrid. È ormai la tarda serata del 2 settembre e all’appello, seguendo le voci che si rincorrevano qualche settimana prima, manca soltanto Bologna. Ci vorrà la tarda mattinata del giorno dopo perché qualcuno scopra al Cinema Lumiere la cartolina con le date italiane.

Quando trent’anni prima Michael Stipe degli R.E.M. confessa al pubblico durante un concerto «i Radiohead sono così bravi che mi fanno paura» non era ancora uscito Ok Computer. I cinque lo avrebbero presentano un giorno di fine primavera del 1997 all’Irving Plaza di New York, dovendo persino aggiungere a penna alcuni personaggi famosi alla lista degli ospiti. Il pubblico avrebbe assistito a un concerto perfetto, il migliore dell’anno per Mike Mills degli R.E.M. Ma i Radiohead sono tanto avanguardisti quanto tradizionalisti: in quella occasione Ed O’Brien avrebbe fatto scambiare il tavolo di Madonna con quello di sua madre, per garantirle un posto privilegiato.

I motivi per cui i Radiohead hanno ancora la capacità di calamitare l’attenzione, a quarant’anni dalla loro formazione, sono molteplici. La loro inerzia è inversa rispetto alle parabole classiche del mondo della musica. Si sono allontanati dal successo pop di facile assimilazione per inglobare nel loro sound musica elettronica, classica, sperimentale, riscoperta su vinili ingialliti del Ventesimo secolo. Messa alle spalle l’esperienza con una storica major, sono diventati “la più grande band al mondo senza un contratto discografico” che si produce i dischi da sé. I Radiohead

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