C’è una sincerità involontaria nelle parole di Carlo Nordio al Corriere della Sera: «Mi stupisce che una persona intelligente come Elly Schlein non capisca che questa riforma gioverebbe anche a loro, nel momento in cui andassero al governo». Basterebbe questa frase per chiudere il dibattito. Il ministro della Giustizia, con la disarmante trasparenza di chi non si accorge di confessare, ammette che il suo disegno costituzionale serve a blindare il potere, qualunque sia il colore del governo. Un sistema che mette i pubblici ministeri sotto il controllo politico non per migliorare la giustizia, ma per neutralizzare l’unico potere che non si elegge.
Nordio la chiama “riforma di civiltà”, ma l’Associazione nazionale magistrati la traduce per tutti: un modo per impedire ai pm di indagare liberamente, per “evitare invasioni di campo”. È la vecchia ossessione di una classe dirigente che teme più le inchieste che il voto. E mentre il ministro rassicura che «servirà anche al Pd», svela l’altra verità: non una giustizia per i cittadini, ma una per i governanti di turno.
È la stessa logica che negli anni Novanta alimentava l’odio contro Mani Pulite, quando si scambiava la legalità per faziosità e si sognava un potere senza contrappesi. La riforma Nordio ne è la prosecuzione aggiornata, con la stessa ambizione: ridurre la magistratura a servizio d’ordine del governo. Non c’è bisogno di teorie o convegni per capire dove porta questa strada. Basta citofonare Nordio: risponderà che la giustizia deve stare buona, finché governa chi comanda. E che il resto, come sempre, è “invasione di campo”.
Buon martedì.




