«Possa questa mostra storica (...) contribuire a restituire una speranza nell’avvenire di Gaza ben lungi dai progetti dementi della Riviera e dalle deportazioni forzate dei Palestinesi». Jack Lang, ex ministro francese della cultura e attuale presidente dell’Institut du Monde Arabe, chiude con queste parole l’introduzione alla mostra che a Parigi l’Istituto ha dedicato al patrimonio archeologico di Gaza d’intesa con l’Autorità nazionale palestinese e il Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra, che ne aveva ospitato una precedente edizione: Trésors sauvés de Gaza. 5000 ans d’histoire, a cura di Elodie Bouffard e René Elter.
Iniziativa necessaria, non solo perché la sua sezione più forte e toccante è dedicata all’Archéologie à Gaza et le patrimoine en Temps de guerre. Nella chiosa di Lang sono condensati i termini principali della questione: la demenza progettuale sembra aver ispirato la prefigurazione di una volgarissima Gaza trumpiana modello Dubai al cubo, visualizzata dalle ben note clip che svelano il sogno di un mondo totalmente artificiale, in cui non ci sia traccia di un qualsivoglia passato, ma forse neppure dei palestinesi. Che, appunto, potrebbero venir deportati altrove, volenti o nolenti, e magari per sempre. Ma una speranza può venire proprio dall’aggrapparsi quasi disperato alle sorti di un patrimonio culturale che rappresenta un grande serbatoio di energie culturali e morali, per provare a ricostruire un minimo di società civile, salvaguardando quel che rimane di quella schiantata dalle bombe israeliane. Non per caso Lang parla di mostra “storica”, nel senso che è incentrata sulla prospettiva di una parabola che parte dal Neolitico per arrivare alla fine dell’Impero Ottomano. La coscienza storica deve rappresentare l’antidoto al culto dell’anno zero, efficacemente descritto da Frank Furedi (La guerra contro il passato. Cancel culture e memoria storica, Fazi, 2025), che nel rigettare ogni eredità del passato finisce per rappresentare il brodo di coltura di ogni speculazione appiattita sul presente. E di fatto impedisce di nutrire una visione del futuro.
La sola logica del profitto non può costruire una civiltà, né permettere la condivisione di valori culturali comuni. Ma chi ha in mano le sorti della Palestina non sembra intenzionato a costruire una civiltà, fosse anche tutt’altra cosa da quella palestinese. L’impressione è che l’annientamento fisico di Gaza (intesa sia come comunità che come paesaggio storicamente stratificato) sia stato ispirato anche da una strategia di smantellamento di quei riferimenti sociali, educativi e culturali che rendono viva e attiva una società. Nel dicembre del 2023 molti
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