I centri in Albania, un monumento all’improvvisazione

Villa Pamphilj, ieri. Giorgia Meloni è arrivata accanto a Edi Rama ripetendo lo slogan che aveva promesso di scolpire nella storia: «Funzioneranno». I centri in Albania, 670 milioni già spesi e altri 70 pronti a partire, dovevano essere il capolavoro della fermezza. Invece, davanti ai cronisti, la premier si è ritrovata con la piva nel sacco. Nei due mega-impianti di Shengjin e Gjadër non passa quasi nessuno: una ventina di migranti in tutto, strutture semivuote, ritardi che persino lei ora è costretta ad ammettere.

Eppure, nel copione meloniano, la responsabilità è sempre altrove. «La colpa è dei giudici», ha scandito, accusando magistrature italiane ed europee di aver “bloccato” i trasferimenti da Bangladesh e Tunisia perché giudicate non sicure. È il solito ritornello: quando i numeri implodono, si invocano complotti togati, burocrazie ostili, Europa cattiva. Tutti colpevoli, tranne chi ha voluto un progetto ingestibile, costosissimo e politicamente tossico.

Nel frattempo Rama incassa sorrisi, appalti, pattugliatori e l’impegno italiano a sostenerne l’ingresso nell’Ue. È lui il vero vincitore del vertice: porta a casa navi, investimenti e la legittimazione di un’operazione che a Tirana rende molto più che a Roma.

L’opposizione parla di «800 milioni bruciati per prigioni vuote». È una fotografia impietosa, ma difficilmente smentibile: un monumento all’improvvisazione, costruito per annunciare la “svolta storica” sull’immigrazione e finito in un parcheggio costoso, senza funzione e senza strategia. Meloni continua a ripetere «funzioneranno». Ma i cancelli restano chiusi, come la realtà che si ostina a non obbedirle.

Buon venerdì.

Foto Gov