La cosa va così: mia figlia Eloisa, fotoreporter, si iscrive a un gruppo Whatsapp che raccoglie informazioni e fondi per i palestinesi rinchiusi a Gaza sotto le bombe. E bomba dopo bomba, dal gruppo (nomi arabi e nomi europei) cominciano ad emergere delle persone, e una di queste, avendo ricevuto una piccola somma di denaro che abbiamo raccolto, scrive per ringraziare. Nel trascorrere dei giorni lo sconosciuto (è un uomo, e si chiama Salah Al-Wali), si trasforma in un individuo preciso: uno fra i tanti palestinesi fortunosamente sopravvissuti ai bombardamenti. A quale prezzo, lo immaginavamo ma ce lo farà capire meglio, con parole accorate, e immagini drammatiche. Salah, che non smette di ringraziare ad ogni messaggio (in uno dei primi manda la foto di un piatto di cuscus con carne, e scrive: “grazie a voi oggi tutta la nostra famiglia ha fatto un vero pasto”), incomincia, con timidezza, a raccontarci la sua vita. Uno degli anonimi gazawi, si trasforma in un essere umano, con un patrimonio di sentimenti idee speranze, e una vita che la “guerra” ha devastato irrimediabilmente. Ma non si abbatte, cerca di esercitare e diffondere il “sumud”, la resilienza, e anche in un panorama di devastazione e morte tesse fili, rianimando il centro sportivo Al-Zahra Center Sports Club, che ha fondato, luogo di incontro e di aggregazione per adolescenti e giovanetti.

E continua: “Prima del 7 ottobre, l’inverno era per me fonte di gioia e tranquillità. Quando cadeva la pioggia, correvo alla finestra a guardare le strade brillare, gli alberi respirare vita, e il freddo avvolgersi di un gusto di calore tra le case. Sentivo le risate dei bambini e li vedevo danzare sotto la pioggia…”. E ancora: “L’inverno era una musica nascosta che accarezzava il mio cuore come una madre premurosa, e mi avvolgevo nelle nostre coperte calde guardando la pioggia e sognando un domani pieno di sicurezza e gioia”.
I bombardamenti fortunosamente salvano l’edificio della famiglia, e quando giungono le notizie della tregua ormai certa, per loro come per tutti è un enorme sospiro. Il sogno della pace. Poi, d’improvviso, nella notte del 20 ottobre (2025!), militari dell’IDF ingiungono agli abitanti del quartiere Al-Zahra di lasciare le loro case, non concedendo loro neppure il tempo di portare coperte o effetti personali. Ben 24 edifici residenziali vengono distrutti in poche ore, e scrive Salah, “davanti ai nostri occhi, lasciandoci allo scoperto, a guardare la nostra sicurezza crollare e i nostri ricordi bruciare”.
Con le luci del giorno la famiglia Al-Wali è in fuga: non hanno più casa, e si apprestano a cercare rifugio in tende, aggirandosi tra macerie, alberi spezzati, vetri infranti “e una paura che avvolge”. E piove, piove, piove senza sosta.

Tuttavia, anche nella nuova tenda, quando finalmente si addormenta, ha un incubo: vede l’acqua filtrare sotto le coperte dei suoi figli e trascinarli via, si risveglia, si riaddormenta, e l’incubo si riaffaccia. Quel capofamiglia disperato, ma non vinto, pensa “di riunirli tutti in un unico letto e coprirli con tutte le coperte invece di darne una sottile a ciascuno”. E non sa quale sia la soluzione migliore mentre l’acqua non smette di cadere.
L’umido, il freddo, l’angoscia hanno trasformato l’inverno da “fonte di gioia”, in un incessante “incubo che divora corpo e anima”. Non ci sono più le risate dei bimbi, sostituite da lamenti e grida, e i genitori non riescono a restituire ai figli una pur minima serenità: “la gioia si è trasformata in ansia, la tranquillità in paura, e la speranza in dolore continuo”.

Testo di Angelo d’Orsi, foto di Salah Hasan




