A Voghera ci sono voluti più di quattro anni perché la cronaca tornasse a chiamare le cose con il loro nome. Il procuratore Fabio Napoleone ha chiesto undici anni per omicidio volontario a Massimo Adriatici, l’ex assessore-sceriffo che la sera del 20 luglio 2021 sparò un colpo di pistola al petto di Younes El Boussettaoui. Non una reazione istintiva, non un eccesso maldestro: un’azione volontaria, dice oggi l’accusa. E in questa definizione crolla l’intero racconto politico costruito allora attorno al delitto.
Perché quella notte, prima ancora che si capisse cosa fosse accaduto, Matteo Salvini e la Lega erano già sul luogo del delitto mediatico. «Un uomo per bene aggredito», «legittima difesa», «un caso chiaro»: dichiarazioni consegnate alla stampa quando il corpo era ancora sull’asfalto. Il copione era lo stesso di sempre: assolvere il militante, demonizzare il morto, chiudere la discussione prima che i fatti la aprissero. La vittima venne subito presentata come “molesta”, “nota alle forze dell’ordine”, utile a trasformare un omicidio in un incidente inevitabile.
Ora però le parole del pm riportano la vicenda nella sua nudità: Adriatici sarebbe uscito di casa per una ronda armata, avrebbe pedinato El Boussettaoui e avrebbe sparato con il colpo già in canna. La politica che allora correva a difenderlo, oggi tace. È il silenzio di chi sa che la propaganda ha il fiato corto, mentre la giustizia – quando riesce – restituisce alle storie il loro peso.
E in quel peso c’è un uomo morto, una comunità ferita e un Paese che non può permettersi assessori con la pistola e leader pronti a trasformare ogni ombra in una campagna elettorale.
Buon giovedì.




