Lunedì Giorgia Meloni, dal Comando operativo di vertice interforze, ha legato per l’ennesima volta la pace alla deterrenza militare. Una forza «credibile», ha detto, serve a «tenere lontana la guerra». È la stessa formula che accompagna da mesi l’aumento delle spese per la difesa e il racconto di una sicurezza fondata sull’equilibrio armato. È la formula magica che piace all’Ue.
Il problema è che la deterrenza, fuori dal linguaggio politico, è da tempo un concetto instabile. Richard Ned Lebow e Janice Gross Stein, in un saggio pubblicato su World Politics nell’aprile 1990, la definiscono una «variabile dipendente elusiva» e osservano che le analisi empiriche «dedicano attenzione insufficiente alla validità e all’affidabilità dei dati». Ne deriva, spiegano, una difficoltà strutturale nel dimostrare che l’assenza di un conflitto sia effettivamente causata dalla deterrenza.
Nello stesso anno, Paul Huth e Bruce Russett, sempre su World Politics, mettono in guardia da conclusioni automatiche. «Fra gli studiosi manca un consenso su come testare in modo sistematico le ipotesi sulla deterrenza», scrivono, mostrando come gli esiti delle crisi dipendano anche da fattori difficilmente controllabili: percezioni dei leader, credibilità politica, pressioni interne, possibilità di arretrare senza pagare costi simbolici eccessivi. E qui, sulla percezione e sulla credibilità dei leader non serve aggiungere altro.
Anche il terreno spesso indicato come prova definitiva, quello nucleare, presenta crepe documentate. Nina Tannenwald, in un articolo pubblicato su International Organization nel 1999, ricostruisce l’emergere di «una proibizione normativa sull’uso delle armi nucleari», spiegando che il mancato impiego dal 1945 si lega anche a stigma morale e costi reputazionali. Attribuire il non-uso esclusivamente alla deterrenza militare, avverte, rischia di semplificare il quadro.
Una cautela simile emerge in ambiti istituzionali. Michael J. Mazarr, in uno studio del 2018 per la RAND Corporation, sottolinea che la deterrenza «dipende in modo decisivo dalla motivazione dell’aggressore» e opera in un contesto segnato da psicologia, errori di calcolo e politica interna. Trattarla come un meccanismo automatico, scrive, porta a sottovalutare la probabilità di fallimenti.
Insomma, la deterrenza è un argomento efficace nei discorsi pubblici, molto meno una garanzia. Funziona come titolo di apertura ma convince inevitabilmente con la possibilità di errore. E quando l’errore arriva, la spiegazione è già pronta.
Buon martedì.




