Fino a quanto possa essere grottesca la politica non lo possiamo sapere. È un confine insondabile poiché ogni volta si riesca a fare peggio del peggio precedente. Di sicuro la giornata di ieri ci ha restituito un passaggio che resterà nella memoria.
Tema del giorno: gli aiuti all’Ucraina. Lì la questione è semplice, lineare. Il governo italiano, Meloni in primis, rivendica di essere un affidabile protagonista della linea Nato ed europea. La strategia delle armi è stata rivendicata dalla presidente del Consiglio sui tavoli internazionali ed è sostenuta ardentemente in patria dal ministro della Difesa Guido Crosetto. Non staremo ora qui a discutere la squinternata strategia di attaccarsi alle braghe dei Trump o delle Kallas di turno. La scelta di campo è quella, legittimamente portata avanti e pubblicizzata.
Peccato che il governo e la maggioranza professino una linea che non tiene tutti insieme. Matteo Salvini infatti da tempo rivendica uno scarto invocando una “pace” di cui conosce molto poco e molto male il significato. Salvini sa bene che una fetta del suo elettorato è infastidito dal prolungamento del conflitto e dal conseguente impegno economico. Anche questo è legittimo, è la democrazia. Non staremo qui a discutere l’antica abitudine di bollare come collaborazionisti tutti quelli che non sono d’accordo.
Le due posizioni così distanti ieri hanno fatto baruffa sul termine “militari” usato nel decreto. Badate bene: non hanno discusso della sostanza. Hanno duellato su una parola, come se fossero sceneggiatori intorno a un tavolo con la testa china su un copione. Il leghista Borghi ha esultato per essere riuscito a togliere “militari” dal titolo del decreto, nonostante rimanesse nel corpo. Poi l’aggettivo è ritornato, pure nel titolo. L’invio di armi non è mai stato in discussione. “Così si fa politica”, hanno detto dalla Lega. Contenti voi.
Buon martedì.




