La coraggiosa “rivolta contro l’ingiustizia” dei turchi si è conclusa domenica a Istanbul. La lunga marcia di protesta di centinaia di migliaia di persone contro il regime teocratico-militare del presidente Erdogan è durata più di tre settimane, 25 giorni, e si è snodata per quasi 500 chilometri. Tutti coloro che si sono uniti al fiume dei manifestanti lo hanno fatto per partecipare alla “Adalet Yuruyusu”, la marcia per la giustizia, iniziata ad Ankara, al parco Guven, il 15 giugno scorso.
«Nessuno deve pensare che questa marcia sia finita: questa marcia sta iniziando. Questa è la nostra rinascita, la rinascita del nostro paese, per i nostri figli. Ci rivolteremo contro l’ingiustizia» ha detto Kemal Kilicdaroglu, 68 anni, leader del partito repubblicano, il CHP, il cui partito è il maggior organizzatore dell’evento.
La marcia si è conclusa a poichi giorni da un anniversario drammatico: quello del colpo di Stato che l’anno scorso ha sconvolto il destino di decine di migliaia di turchi. Il 15 luglio sarà un anno dal giorno in cui morirono 249 persone e dall’inizio delle epurazioni del presidente autocrate. Licenziati in migliaia, arrestati in 50mila, in una vita sospesa altre decine di centinaia: adalet, per tutti loro, la folla urla “adalet”, agita la parola scritta rosso su bianco, colori della bandiera turca, e sono molte a sventolare alla marcia, proprio come alle manifestazioni governative.
Dopo 450 chilometri di strada insieme, i manifestanti – gli organizzatori parlano di un milione di partecipanti- si sono salutati a Maltepe, nella parte asiatica di Istanbul, una tappa finale simbolica, nei pressi del carcere dove è rinchiuso il deputato socialdemocratico Enis Berberoglu, condannato a 25 anni per “rivelazione di segreto di Stato”, colpevole di aver denunciato la vendita di armi dalla Turchia alla Siria con camion dei servizi segreti di Ankara.
«Siamo qui, milioni di noi vogliono un nuovo contratto sociale». Prima di concludere, Kilicdaroglu ha lanciato verso il cielo turco una colomba bianca.