Dunque il Pd lancia il “dipartimento mamme”. In realtà, a ben vedere, è solo uno dei dipartimenti pensati “per affrontare al meglio le sfide dei prossimi mesi”, come scrive la nota ufficiale del partito, ma il “dipartimento mamme” inevitabilmente ha suscitato più di qualche perplessità e se qualcuno con cattiveria ha fatto notare che sarebbe stato il caso anche di un “responsabile babbi” (come ha scritto Chiara Geloni su twitter, riferendosi chiaramente alle vicende giudiziarie di Tiziano Renzi e a Banca Etruria per la famiglia Boschi) molti altri, anche tra i democratici, hanno colto un senso politico chiaro. Renzi, si sa, è uomo devoto alla comunicazione (quella di vacuo ottimismo sotto slogan spinti figlia del berlusconismo) e difficilmente scivolerebbe sul “titolo” di un pezzo così importante della sua cabina di regia in vista della prossima campagna elettorale.
Del resto già lo scorso 7 marzo il segretario del Pd aveva indicato le tre priorità: lavoro, casa e (appunto) mamme. Giulia Siviero, giornalista de Il Post, aveva colto perfettamente il senso in una sua lettera indirizzata proprio a Renzi:
«Lei non ha mai pronunciato la parola donne (e basta o uomini), non ha scelto le donne come centro della sua futura pratica politica, ma ha scelto di tornare a uno scenario anacronistico e ingiusto. Parlare solo di “mamme” esclude immediatamente non solo le donne che non lo sono, ma le madri stesse che al di là e al di qua della maternità sono altro, sempre e comunque altro: sono donne che vanno a scuola, che lavorano, che vengono pagate meno, che cercano lavoro o vengono licenziate, che scioperano, che si sostituiscono al welfare, che guardano la tv e leggono i giornali, che non vogliono essere madri, che vogliono avere un figlio in modi diversi, che subiscono violenza, che arrivano e che partono».
Ma c’è di più, se riusciamo ad allargare lo sguardo: le “mamme” sono state, da tempo, tra le parole chiave dell’egemonia culturale conservatrice. Come dire: tra i temi da “non regalare alla destra” (che è l’ossessione ripetuta da Renzi per giustificare la propria deriva, a destra) ora c’è da riprendersi anche questo, con buona pace degli intenti progressisti che stavano nella fondazione stessa del Partito democratico. “Un dipartimento mamme manco nella Dc anni Cinquanta”, ha scritto Aurelio Mancuso, che del Pd è componente dell’Assemblea nazionale.
Il “dipartimento mamme”, del resto, dimostra anche che il “Family day” e tutta la comunicazione che ci stava intorno probabilmente sono qualcosa di più di un semplice inciampo di governo, come il Pd aveva sostenuto. E forse è un caso – o forse no – che tra i dipartimenti manchi ora quello dei “diritti civili”, ben diverso dal senso del “dipartimento delle pari opportunità” come ben sa chiunque, Renzi in testa, ha a che fare con queste diciture in questi ultimi anni.
Infine una curiosità, grigia: ha trovato un ruolo anche Walter Verini. Per chi non sapesse chi sia bisogna tornare al ddl Scalfarotto che estendeva la legge Mancino ai reati determinati da odio per questioni di orientamento sessuale e identità di genere: Verini fu quello che, con un furbo subemendamento cofirmato con l’onorevole Gatti, “azzoppò” la legge secondo i timori delle associazioni e degli operatori del settore. Eccolo. Proprio lui.
Tanto per avere un quadro largo, insomma.
Buon lunedì.