Strana sorte davvero, quella di John Fante. In Italia e non solo. Approdato nel nostro Paese con la prima ondata di grandi autori novecenteschi; ospitato in Americana, la memorabile antologia con la quale Elio Vittorini formò una generazione di intellettuali, scrittori e lettori, nel segno del vitalismo e dell’antiretorica; presenza fissa, accanto a Hemingway, Faulkner e Fitzgerald, nella storica collana mondadoriana Le Meduse, Fante non è però mai assurto allo stato di classico contemporaneo.
La prima generazione di critici che inaugurarono, anche a livello accademico, gli studi americani, lo inserì piuttosto tra i minori, pur riconoscendone il talento di narratore: una valutazione che discendeva probabilmente dalla stessa critica statunitense, a sua volta pronta a incasellare Fante tra gli scrittori italoamericani (insieme al Di Donato di Cristo tra i muratori) oppure, insieme a Nathanael West, tra gli autori losangelini, capaci di raccontare in una chiave inedita la città dei sogni e di guardare a Hollywood e al suo mito con la giusta dose di disillusione e di cinismo.
Se lo status di “minore” ha rappresentato per certi versi una condanna – e certamente non rese felice Fante, il quale, fatta salva la parentesi di Full of Life, non avrebbe mai conosciuto in vita il successo dei suoi più prestigiosi coetanei, e avrebbe finito per accettare di guadagnarsi da vivere con i lauti e “sporchi” compensi delle major cinematografiche -, non è irragionevole pensare che, con il senno del poi, sia stato una fortuna… ( l’articolo continua su Left in edicola, dal 25 al 27, lo scrittore, editor Minimum Fax e traduttore parla dell’autore di Chiedi alla polvere al Jhon Fante festival)