Negli ultimi 20 anni c’è stato un incredibile proliferare di leggende sul conto di Albert Camus (7 novembre 1913 – 4 gennaio 1960). Vere e proprie bufale, a cominciare proprio dalla miriade di false citazioni attribuitegli su internet. Sono così tante che, nel 2015, sono riuscito a metter su un intero articolo su di esse, dal titolo: “La nobile arte di citare male Camus – dalle origini all’era di internet”.
Intendiamoci, Camus non è l’unico a subire questo infausto destino sul web. Ma alcune citazioni sono davvero inverosimili. Come ad esempio quella che attribuirebbe a Camus il testo di una canzone ebraica per bambini (sic!): «Non camminarmi dietro, non saprei come guidarti. Non camminarmi davanti, potrei non seguirti. Cammina al mio fianco e sii mio amico». Oppure quell’altra citazione secondo la quale Camus, totalmente agli antipodi di se stesso, sarebbe addirittura un ammiratore della scommessa di Pascal: «Preferirei vivere la mia vita come se ci fosse un Dio, e morire scoprendo che non c’è, piuttosto che vivere la mia vita come se non esistesse, e morire scoprendo che invece esiste». Chi non conoscesse Camus potrebbe forse anche apprezzare, in maniera distaccata, il contenuto di queste citazioni. Ma il punto è un altro: queste citazioni non sono in alcun modo sue, per quanto belle possano sembrare, o per quanto Google possa affermare il contrario.
Ho scavato a fondo nella storia di queste false citazioni, alla ricerca di quello che definisco il loro “punto zero”, ovvero la loro prima apparizione su internet. Ho capito allora che spesso, dietro l’origine di queste misquote, c’era solo tanta ingenua e distratta buona fede. Come nel caso di quest’altra presunta citazione di Camus che in origine era soltanto una dedica a Camus, scritta da un ammiratore italiano sul suo blog Le Bateau Ivre, purtroppo non più raggiungibile. Nell’ingenuo attimo di distrazione di chi per primo cambiò quella proposizione (da “a” a “di”) si condensa in maniera esemplare un fenomeno tutto contemporaneo: la pericolosa buona fede di chi, oggi più che mai, condivide a cuor leggero bufale e ogni tipo di stupidaggine su internet.
C’è però anche chi ha usato e continua ad usare le false citazioni in manifesta malafede, con l’esplicito intento di infangare Camus. Sto parlando di Rachid Boudjedra, a suo tempo militante indipendentista algerino. In una serie di articoli del 2016, Boudjedra citò delle inesistenti lettere a René Char in cui Camus avrebbe acclamato la pena di morte “per alto tradimento” nei confronti di Sartre, colpevole di organizzare incontri in favore dell’indipendenza dell’Algeria. Citazioni inventate di sana pianta, come mezzo di diffamazione. Dopo qualche mese quegli articoli sono stati per fortuna rimossi, ma solo dopo le nostre ripetute proteste.
Peggio delle false citazioni, però, sono le teorie complottiste su Camus. C’è ad esempio chi ha sostenuto che l’incidente d’auto nel quale perse la vita non fosse una casualità, bensì un sabotaggio messo in atto dal KGB. Le prove? Il carteggio di un poeta cecoslovacco, il quale però, per paura, non avrebbe rivelato il nome della sua fonte, la quale a sua volta avrebbe voluto mantenere nascosto il nome della persona a conoscenza dei fatti. Un complotto nel complotto insomma, per fortuna spentosi relativamente presto e senza troppo clamore mediatico.
Lo stesso non è accaduto, purtroppo, con un altro complotto: quello del Camus “cripto-cristiano” o “cristiano mascherato”, in procinto di convertirsi al cristianesimo poco prima di morire. Ho passato un anno del mio dottorato cercando di ricostruire la storia di questo complotto, scoprendo che si tratta in realtà di un processo lungo più di 50 anni e in almeno quattro fasi.
C’è stato innanzitutto chi ha provato a convertire Camus quando era ancora in vita. Padre Jean Daniélou, ad esempio, che cercò di convincere Camus del suo essere “cristiano senza saperlo” – per poi rispondere, di fronte alle proteste del diretto interessato: “ma sì, caro amico, vi assicuro che è così!” O ancora penso a tutti quei critici cattolici che videro nel romanzo La Caduta l’ammissione della sconfitta di Camus, il quale, secondo loro, avrebbe infine ammesso di aver perso la sua scommessa su una “felicità senza Dio”. A nulla valsero le dichiarazioni di Camus in occasione del Nobel – a tal proposito, in quei giorni un giornale svedese titolò addirittura: “Camus non capitolerà di fronte al cattolicesimo”.
Tre anni dopo, il 4 gennaio 1960, la sua tragica morte spianò la strada a tutti quegli apologeti cattolici che fino ad allora avevano dovuto contenersi. Si cominciò a parlare di un presunto “segreto” che Camus avrebbe portato con sé nella tomba. In molti cominciarono a formulare ipotesi su cosa ne sarebbe stato del “quasi cristiano” Camus se non fosse morto in quell’incidente.
Non deve sorprendere allora se, su questo fertile humus pre-complottista, cominciarono a spuntare qua e là testimonianze di amici di amici secondo le quali Camus sarebbe stato in procinto di convertirsi poco prima di morire. Dato interessante: questi presunti testimoni sono tutti cattolici. Come Ignace Lepp, ex militante marxista convertitosi d’emblée al cattolicesimo fino a farsi addirittura prete, come descrisse nel suo autobiografico Itinerario da Karl Marx a Gesù Cristo. O Frank Sheed, scrittore cattolico australiano, il quale a suon di “qualcuno mi ha detto che” sostenne che Camus stesse “pianificando il suo ritorno verso la Chiesa sull’esempio di Sant’Agostino”.
Saltando a piè pari le folli elucubrazioni di Jean Sarocchi, il più convinto sostenitore vivente del “cripto-cristianesimo” camusiano, raggiungiamo l’apice del complotto: il libro Albert Camus and the Minister, del pastore metodista americano Howard Mumma. Per esigenze di spazio non posso riportare qui tutte le assurdità e inesattezze cronologiche che invalidano il libro. A tal proposito rimando allora al mio articolo, dove ne ho indicate almeno nove.
Riporterò qui una sola assurdità, a mo’ di esempio. Si tratta della cantonata colossale riguardo il rapporto di amicizia tra Camus e Simone Weil, a cui è dedicato un intero capitolo del libro. Secondo Mumma, Camus avrebbe incontrato la Weil più volte nel suo studio parigino, a distanza di settimane e per molti anni. Questo è semplicemente impossibile: Simone Weil è morta nel 1943 e Camus conobbe la sua opera soltanto nel 1946 durante un viaggio negli Stati Uniti grazie alla segnalazione dell’amico Nicola Chiaromonte, rimpiangendo del resto questo incontro mancato, a tal punto da voler incontrare la madre della Weil molti anni più tardi.
Ad ogni modo, c’è un fatto che spiega cristallinamente l’intento truffaldino di Mumma. Molti anni prima, in pieno 68, il giovane pastore metodista scrisse infatti un libro dal titolo inequivocabile: “Take it to the People, New Ways in Soul Winning – Unconventional Evangelism”, nel quale elencò tutta una serie di maniere alternative e non convenzionali per evangelizzare le anime dei non credenti. Fedele al suo metodo, il libro di Mumma su Camus non è nient’altro che un malriuscito tentativo di “evangelismo non convenzionale”. Così malriuscito che non varrebbe nemmeno la pena di parlarne, se non fosse che ovunque, persino nel mondo accademico, c’è chi lo cita come una fonte attendibile, per avvalorare, una volta di più, il complotto del Camus “cripto-cristiano” – anche qui in Italia, ad esempio, dove i cattolici dell’UCCR non si sono fatti sfuggire l’occasione per convertire Camus da morto…
Tutto ciò ha del ridicolo, è vero. Ma oggi più di ieri è proprio dal ridicolo che dobbiamo difenderci. Camus lo sapeva bene – e infatti, nel 1953, in un appunto dei suoi Taccuini chiedeva umilmente “una cosa sola”, per quanto la sapesse esorbitante: “essere letto con attenzione”. Questo breve articolo è a suo modo un tentativo per esaudire quella richiesta.