Ha ricordato il suo mese passato al fianco dei giocatori della nazionale “giocando a boccette” durante gli Europei. Ha detto così.
Dice di essere sotto attacco “per un atto politico”. Sì, lo so, l’avete già sentita un milione di volte questa.
Con qualche difficoltà nella lingua italiana (un classico della nostra classe dirigente) ha detto testualmente: “se quel palo entrava, Tavecchio era un grande. Invece resto alto 1 metro e 61”.
“Ho fatto tutto normale”, dice con il lessico di un bambino alle scuole elementari. E poi, al solito, ha parlato di tradimento: “Ho preso atto del cambiamento di atteggiamento di alcuni voi. Nonostante il documento che mi hanno richiesto e condiviso, non sono disposti nemmeno a discuterlo”.
Tavecchio, vale la pena ricordarlo, era quello che si era meritato un’indagine per razzismo da parte dell’UEFA per la sua frase sui giocatori che “giocano in serie A e prima mangiavano banane”.
Insomma il presidente della FIGC aveva tutte le carte in regola per essere la fotografia della classe dirigente di questo Paese: arrogante, ignorante, bullo, poco capace, incline al vittimismo, perdente e capace sempre di scaricare responsabilità sugli altri.
In fondo spiace che se ne sia andato (ma poi questi, prima o poi, dalla finestra ritornano) perché era un ottimo modo per ricordarci tutte le mattine che in fondo siamo il Paese in cui, ogni giorno, senti parlare qualcuno che ricopre un ruolo di responsabilità e ti domandi come abbia fatto a finire lì. E invece siamo noi, alla fine, che gli abbiamo permesso di arrivare fin lì. Siamo stati noi con tutta la stanchezza e l’assuefazione a ciò che non dovrebbe essere accettato e tollerato. Noi.
Buon martedì.