Terremoti, maremoti. Inondazioni. Tempeste. Uragani. Riscaldamento globale. L’umanità è in movimento, si sposta da una costa all’altra, da un lato all’altro del mondo, dall’alba dell’umanità. La prima causa per cui questo accade, è accaduto ed accadrà è legata alla natura e non alla storia, alle conseguenze che si pagano quando cambia la geografia, il meteo, l’ambiente che ci circonda. Il cambiamento climatico sarà la prima causa della migrazione futura degli uomini.
Oggi i rifugiati, negli ultimi giorni del 2017, hanno raggiunto il più alto numero dalla seconda guerra mondiale: 65 milioni di persone nel mondo sono attualmente lontane dalla loro casa. Tra loro sono 25 milioni i rifugiati e richiedenti d’asilo che vivono fuori dal loro Paese d’origine. Ma questi numeri non includono i profughi del cambiamento climatico.
Secondo la legge internazionale, solo chi scappa da guerre e persecuzioni ha diritto allo status di rifugiato, ma non chi abbandona le mura di casa per i disastri dell’ambiente che lo circonda. Sono 24 milioni – una cifra stimata, perché non c’è un vero censimento – le persone scappate dal loro luogo d’origine per i disastri naturali, senza però varcare i confini del loro paese. Lo dice l’ultimo rapporto del Center Internal Displacement, appena pubblicato.
Sono più di tre milioni i nuovi rifugiati per i disastri del 2016. Se dall’Africa subsahariana si scappa più che dal Medio Oriente, a causa dei violenti scontri tra fazioni armate, la regione da cui si scappa di più per i disastri naturali è il sud-est asiatico. Sono state le tempeste la prima causa delle catastrofi naturali nella regione.
È stato un politico della Nuova Zelanda, James Shaw, leader del partito dei Verdi, a proporre un visto per i profughi del cambiamento climatico alle Nazioni Unite lo scorso novembre: “E’ un’opzione, è uno speciale visto umanitario, che permette alle persone di migrare a causa del cambiamento climatico”, che riconosce ufficialmente e legalmente lo status del “migrante climatico”, che oggi non esiste. Sarà il suo governo a tentare di creare il primo visto del mondo per “rifugiati climatici”, di cui beneficeranno soprattutto gli abitanti delle isole del Pacifico, operando secondo il principio della “giustizia climatica: la Nuova Zelanda ha contribuito storicamente ad inquinare di più rispetto alle isole”.
Più si alzeranno le temperature della terra, più aumenteranno anche le richieste d’asilo nel mondo, conferma uno studio del giornale Science pubblicato quattro giorni fa. Nel 2100 le richieste d’asilo, secondo lo stesso report citato dal National Geographic, saranno maggiori del 28% rispetto ad oggi, se i governi dovessero rispettare gli impegni presi contro il riscaldamento globale. Invece secondo lo scenario peggiore, – se il cambiamento climatico non dovesse fermarsi, se gli uomini non dovessero modificare le loro abitudini per rispettare la natura-, le richieste triplicherebbero, con un milione di rifugiati climatici all’anno.