Cerchie social che confermano i nostri giudizi, amici e conoscenti che sono sempre d’accordo con noi, il nostro giornale quotidiano che titola i fatti del giorno esattamente come faremo noi, il telegiornale del cuore che s’indigna sulle nostre stesse pieghe e addirittura si commuove con il nostro stesso colore, il politico di riferimento che indovina tutti i nostri odi e che odia esattamente come noi e che vuole esattamente quello che vogliamo noi; alla fine anche i nostri nemici si confermano di giorno in giorno, di anno in anno, rassicurandoci con le loro differenze e le stesse ostilità.
Forse l’augurio migliore che potremmo farci, l’esercizio migliore per il Paese, sarebbe quello di imparare a essere contraddetti. Finirla di rassicurarci nelle nostre posizioni evitando i dissimili come inferiori o insopportabilmente incompatibili e allenarci, tutti, alla discussione, al dovere di spiegarsi di più e meglio, all’esercizio quotidiano per allungare il muscolo della curiosità.
Come scrive Canetti, «il terribile non sono le contraddizioni, bensì il loro graduale svigorire» e la sensazione, sempre di più, è che la disperazione abbia spento il ragionamento oltre allo slancio e così si assiste quasi sempre alla messa in scena di un copione con il finale scontato.
E siamo tutti penisole (con gli uguali come unico confine) con la speranza inconfessabile di involverci in isole. Tutti preoccupati di attraversare la giornata trovando più conferme possibili. Tutti i giorni. Tutto il giorno. E rinfrancarci di non avere dovuto dare spiegazioni a nessuno.
Buon 2018. Con l’augurio di essere contraddetti.