Una protesta molto diversa dall’Onda verde del 2009. Dal 28 dicembre al 2 gennaio le strade non sono state occupate dalla borghesia urbana di Teheran per chiedere libertà e diritti, ma dalle fette più povere e marginalizzate della popolazione. Le parole d’ordine sono «lavoro», «redistribuzione», «sussidi»

I primi due manifestanti sono morti il terzo giorno di proteste, a Doroud, provincia occidentale di Lorestan. Hamzeh Lashni e Hossein Reshno, la loro identità è stata confermata dai familiari mentre un video che li mostrava coperti di sangue girava sul web. Ne sono seguiti altri 19, uccisi nelle manifestazioni che per una settimana – dal 28 dicembre al 2 gennaio – hanno attraversato l’Iran. Tra le vittime anche alcuni poliziotti, uccisi dal fuoco di manifestanti armati.

È stata una settimana intensa per la Repubblica islamica: sit-in di decine di migliaia di persone e gruppi di manifestanti che hanno preso d’assalto banche e caserme, ingaggiando scontri a fuoco con polizia e pasdaran. Il 2 gennaio le Guardie rivoluzionarie hanno annunciato la fine di quella che definiscono «sedizione»: nelle città iraniane sono scesi a decine di migliaia i sostenitori del governo, in mano le immagini dell’ayatollah Khomeini e dell’attuale guida suprema, Ali Khamenei.

Cosa stia succedendo è oggetto di analisi in tutto il mondo, tra gli osservatori internazionali e iraniani. Su un punto tutti, o quasi, convergono: difficile dare un’unica connotazione alle manifestazioni. Di certo si sa che sono state guidate dai giovani, dalla cosiddetta “generazione 90”: la stragrande maggioranza degli arrestati (700 per il governo, oltre mille per i manifestanti) ha meno di 25 anni. Ha pochi legami con lo spettro politico tradizionale, non si rispecchia con l’élite al governo o all’opposizione e non ha preso parte all’Onda verde anti-Ahmadinejad del 2009. Usa la messaggistica di Telegram – diffusissimo, 25 milioni di utenti – per organizzarsi.

L’altro elemento è geografico e, di conseguenza, “di classe”: le piazze interessate sono quelle periferiche, lontane dai grandi centri urbani, le comunità rurali e più povere e le città del profondo ovest e dell’est, con epicentro la conservatrice Mashhad, cuore della destra rappresentata da Ebrahim Raisi, custode del santuario dell’imam Reza, e dall’ayatollah Alamolhoda, tra i più duri oppositori dell’attuale governo. Un dato che ha permesso a Teheran di accusare…

L’articolo di Chiara Cruciati prosegue su Left in edicola


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