Teheran sta cambiando. Lo dice il report del Centro iraniano per gli studi strategici, la cui stesura ha richiesto tre anni e ora è nelle mani del presidente Hassan Rouhani: quasi la metà degli iraniani si oppone al velo obbligatorio per le donne, come impone la legge.
Nel 2014 il Centro sondaggi studentesco iraniano ha cominciato a chiedere per strada a donne e uomini, vecchi e giovani, cosa ne pensassero dell’hijab obbligatorio: deve essere una legge o una scelta? Una questione personale o una statale? Quel sondaggio è finito al centro del report appena pubblicato con una cifra chiara: il 49% dei 1167 intervistati la riteneva una questione privata. I dati comparati risalgono al 2006, 2007, 2010 e 2014: nel 2006 solo il 34% si esprimeva a favore della scelta personale, quasi dieci anni dopo la percentuale è aumentata di oltre dieci punti. Forse oggi, nel 2018, il numero sarebbe ancora maggiore.
Nello stesso studio si legge che se nel 2006 il 54% degli iraniani riteneva che le donne dovessero indossare lo chador, nel 2014 lo pensava ancora solo il 35% degli intervistati. E ancora: si devono perseguitare le donne che si svelano in pubblico? No, nel 2014, per il 39% del campione. Il report è stato reso pubblico domenica, dal centro che compie ricerche per l’ufficio del presidente, solo qualche giorno dopo i 29 arresti delle donne che hanno deciso di scoprirsi la testa in pubblico per protesta contro il codice islamico di abbigliamento. Quelle ragazze hanno preso il loro velo e lo hanno legato a un bastone, da agitare come una bandiera e sono finite prima in manette, poi in carcere.
Non è detto che sia stata l’ultima volta, non è stata nemmeno la prima. Nel 1979 migliaia di donne nelle strade di Teheran manifestarono contro l’hijab, una restrizione che è diventata più severa col passare degli anni. Oggi, decenni dopo, il governo deve fronteggiare la campagna di piazza dei “mercoledì bianchi”, i giorni in cui le donne sfidano il potere, l’arresto e la prigione, con un solo gesto: togliendosi l’hijab.
La società civile iraniana sta continuando ad interrogarsi sulle “ragazze della strada della rivoluzione”. Alcune di loro, sicuramente le più giovani, hanno dato il loro voto a Rouhani, per le promesse di cambiamento su cui si era espresso prima di diventare il capo dello Stato. «Le persone apprezzeranno che il Centro abbia pubblicato le informazioni, ma si chiederanno se questo darà dei risultati», ha detto Sanam Vakil, studioso dell’Iran della Chatham House. Altri studiosi, specialisti delle questioni che si agitano a Teheran, si chiedono perché lo studio pubblicato non sia stato accompagnato da una dichiarazione presidenziale. Si tratta di certo di una calcolata decisione politica del presidente, per dare un segnale di sostegno a quelle riforme sociali che aveva promesso al suo insediamento nel 2013. O almeno, per dare l’impressione di farlo.