Il trionfo pentastellato nel Meridione suona come uno schiaffo liberatorio a famiglie storiche, capi-bastone e signori dei voti. Messe da parte le clientele, a fare breccia è di nuovo il politico “affabulatore” con i suoi comizi. Ma si tratta di un voto volatile, che rende superflua una mobilitazione reale

Non sono trascorse neppure ventiquattro ore dalla chiusura delle urne, quando Luigi Di Maio arriva nella sua Pomigliano d’Arco per festeggiare il trionfo elettorale. Sale sul palco agghindato di palloncini gialli e parla agli abitanti di uno dei luoghi simbolo del sogno fordista del Mezzogiorno mettendoli al centro dell’Italia. Racconta loro del suo viaggio elettorale nel Paese che ha i loro stessi problemi. Nella narrazione di Di Maio il Sud non è un luogo a sé stante, governato da emergenze specifiche e contraddizioni genuine. La prospettiva è ribaltata: l’eccezione si fa regola, quella parte di Paese racchiude tutte le emergenze che lui stesso ha potuto individuare nel corso del suo giro d’Italia narrato giorno per giorno e in prima persona in diretta Facebook. Ovviamente si tratta di una mossa retorica, di un espediente comunicativo per sfuggire all’etichetta che, non senza qualche ragione, si sarebbe tentati di affibbiare al M5s come partito territoriale del Sud speculare e simmetrico al nord a trazione salviniana.

Eppure era cominciato dal Nord, il rally propagandistico che ha condotto Di Maio al pieno di voti nelle urne al Sud. Era iniziato sotto tutt’altri auspici e con un lungo mese di visite ad associazioni di categoria e imprenditori. Di Maio ha stretto mani a uomini d’azienda e manager, Di Maio ha dispensato dichiarazioni contro l’invadenza dello Stato, Di Maio ha invocato con piglio macroniano la «start-up nation». Lui e Davide Casaleggio erano convinti che la vittoria elettorale sarebbe arrivata soltanto sfondando nel tessuto produttivo del Nord, facendo proseliti tra piccoli e medi imprenditori. Poi, nel bel mezzo della campagna elettorale i sondaggi hanno sancito il fallimento dello schema: lo sfondamento non stava avvenendo. Lo confermano le analisi post-voto dell’Istituto Cattaneo, la svolta moderata di Di Maio al settentrione ha avuto saldo negativo, comportando la perdita di alcuni elettori, in transito verso la Lega di Salvini. Quando lo stato maggiore grillino se n’è accorto, Alessandro Di Battista si è lasciato sfuggire la battuta sugli italiani popolo di «rincoglioniti».

E invece è stato il Sud a fare la differenza, a gonfiare la bolla grillina e metterla in cima al podio elettorale. Con percentuali impressionanti, cappotti nei collegi uninominali, uno tsunami di consensi. Non importa che si tratti della parte di Mezzogiorno più dinamica, come la Puglia, o di quella più abbandonata, la Calabria. La gente vota 5 stelle, ignora cacicchi e famiglie storiche, capi-bastone e signori dei voti. Per cogliere a fondo il senso storico di questo trionfo, bisogna considerare che…

L’articolo di Giuliano Santoro è tratto da Left in edicola


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