Hanno sparato all'uomo disarmato otto volte, alla schiena. Lo dice un'autopsia indipendente, richiesta dalla famiglia di Stephon Clark, cittadino afro americano, 22 anni, due figli, e uno smartphone. Quello che la polizia ha scambiato per un'arma, prima di ucciderlo nei pressi della casa di sua nonna, il 18 marzo scorso. I poliziotti del dipartimento di Sacramento, California, hanno aperto il fuoco di notte. Ora «beneath the grief, anger simmers». Sotto il dolore, la rabbia ribolle. C'è scritto sul Washington Post, vicino alla foto del funerale di Clark: «La fine di un uomo solo, ma l'inizio di una marcia di molti». In centinaia, infatti, si sono riuniti intorno alla sua bara tre giorni fa, il 30 marzo, e le proteste, iniziate nei giorni scorsi, non si sono ancora fermate. Durante l'ultima, il primo aprile, una manifestante, Wanda Cleveland, è stata investita dall'auto dello sceriffo. Questa settimana la comunità nera di Sacramento promette che non rimarrà a casa, la città continuerà a ricordare Clark, giorno e notte, anche quando tornerà la luce blu delle volanti al buio. «Hanno ucciso Stephon, continuano ad ucciderci. Continueremo a chiedere giustizia non solo per lui, ma per tutte le vite che abbiamo visto ingiustamente togliere dalle forze dell'ordine». Black lives matter. Nei loro pugni in aria, ora, c'è uno smartphone, in segno di lutto e lotta: Stephon è morto per questo, perché il telefono è stato scambiato per una pistola. Dieci minuti per morire: Stephon avrebbe potuto, infatti, ricevere cure mediche adeguate ed essere salvato, dopo che è stato aperto il fuoco. Lo dice la seconda autopsia, una perizia indipendente richiesta dalla famiglia, che contraddice la prima e la narrazione della polizia californiana, che ha reagito alle nuove rivelazioni con dei vaghi «no comment». Dieci minuti è il tempo in cui Clark è rimasto vivo, a terra, nei pressi del cortile della casa dei suoi nonni, dopo che i proiettili l'hanno colpito - uno al fianco, uno al collo, sei alla schiena -, prima di chiudere gli occhi per sempre. «L'autopsia conferma che non era una minaccia per la polizia, he was slain in another senseless police killing, Stephon è stato ucciso in un altro omicidio insensato della polizia, in discutibili circostanze» ha detto il rappresentante legale della famiglia Clark, Benjamin Crump, avvocato per i diritti civili, che si è già battuto per le cause di Travyon Martin e Micheal Brown. Clark è una delle 264 persone uccise dalle forze dell'ordine dall'inizio di quest'anno, 2018, in America; 987 persone sono state uccise nel 2017. Le divise dicono di essere intervenute quella sera del 18 marzo dopo una chiamata ricevuta per un furto d'auto. Dalle telecamere sul corpo dei poliziotti e da un video di un elicottero con sensori notturni, la morte di Stephon è stata ripresa e da quando il video è stato pubblicato tensione e lacrime hanno ceduto il posto alla rabbia della comunità afro-americana locale.

Hanno sparato all’uomo disarmato otto volte, alla schiena. Lo dice un’autopsia indipendente, richiesta dalla famiglia di Stephon Clark, cittadino afro americano, 22 anni, due figli, e uno smartphone. Quello che la polizia ha scambiato per un’arma, prima di ucciderlo nei pressi della casa di sua nonna, il 18 marzo scorso. I poliziotti del dipartimento di Sacramento, California, hanno aperto il fuoco di notte.

Ora «beneath the grief, anger simmers». Sotto il dolore, la rabbia ribolle. C’è scritto sul Washington Post, vicino alla foto del funerale di Clark: «La fine di un uomo solo, ma l’inizio di una marcia di molti». In centinaia, infatti, si sono riuniti intorno alla sua bara tre giorni fa, il 30 marzo, e le proteste, iniziate nei giorni scorsi, non si sono ancora fermate. Durante l’ultima, il primo aprile, una manifestante, Wanda Cleveland, è stata investita dall’auto dello sceriffo. Questa settimana la comunità nera di Sacramento promette che non rimarrà a casa, la città continuerà a ricordare Clark, giorno e notte, anche quando tornerà la luce blu delle volanti al buio. «Hanno ucciso Stephon, continuano ad ucciderci. Continueremo a chiedere giustizia non solo per lui, ma per tutte le vite che abbiamo visto ingiustamente togliere dalle forze dell’ordine». Black lives matter. Nei loro pugni in aria, ora, c’è uno smartphone, in segno di lutto e lotta: Stephon è morto per questo, perché il telefono è stato scambiato per una pistola.

Dieci minuti per morire: Stephon avrebbe potuto, infatti, ricevere cure mediche adeguate ed essere salvato, dopo che è stato aperto il fuoco. Lo dice la seconda autopsia, una perizia indipendente richiesta dalla famiglia, che contraddice la prima e la narrazione della polizia californiana, che ha reagito alle nuove rivelazioni con dei vaghi «no comment». Dieci minuti è il tempo in cui Clark è rimasto vivo, a terra, nei pressi del cortile della casa dei suoi nonni, dopo che i proiettili l’hanno colpito – uno al fianco, uno al collo, sei alla schiena -, prima di chiudere gli occhi per sempre.

«L’autopsia conferma che non era una minaccia per la polizia, he was slain in another senseless police killing, Stephon è stato ucciso in un altro omicidio insensato della polizia, in discutibili circostanze» ha detto il rappresentante legale della famiglia Clark, Benjamin Crump, avvocato per i diritti civili, che si è già battuto per le cause di Travyon Martin e Micheal Brown. Clark è una delle 264 persone uccise dalle forze dell’ordine dall’inizio di quest’anno, 2018, in America; 987 persone sono state uccise nel 2017. Le divise dicono di essere intervenute quella sera del 18 marzo dopo una chiamata ricevuta per un furto d’auto.

Dalle telecamere sul corpo dei poliziotti e da un video di un elicottero con sensori notturni, la morte di Stephon è stata ripresa e da quando il video è stato pubblicato tensione e lacrime hanno ceduto il posto alla rabbia della comunità afro-americana locale.