L'ex comunista rieletto presidente dello Stato balcanico che è da poco dentro la Nato. La carta vincente: la promessa di entrare nell'Unione europea. Intanto Freedom House pubblica un report sull'allarme corruzione e diritti civili nel Paese

Il Montenegro ha scelto il suo presidente, Milo Djukanovic è tornato. Ha vinto con il 54% dei voti, sventolando la bandiera blu con le stelle dorate a Podgorica e ripetendo soprattutto due parole in campagna elettorale: “Europa” e “stabilità”. «Questa è la conferma che la decisione del Montenegro è quella di continuare il suo percorso europeo, questo ci condurrà alla piena adesione all’Unione». Sono state queste le sue prime parole alla folla riunta per festeggiarlo in strada, appena la tv nazionale ha mostrato i risultati elettorali nella serata di domenica 15 aprile.

Tra segnalazioni di violazioni e denunce di irregolarità elettorali, – firme false, tessere con lo stesso numero di serie, dispositivi elettronici per il riconoscimento non funzionanti -, ad urne appena chiuse, il vecchio leader Djukanovic ha riconquistato il potere in Montenegro. Accusato da tempo di essere l’autocrate del piccolo stato sull’Adriatico – con poco più di 600mila abitanti-, le parole degli avversari politici, filo-russi quanto filo-europei, non hanno tuttavia scalfito il suo ritorno né fermato la sua corsa elettorale. Ex comunista ed ex alleato di Milosevic fino al 1998, a capo dei Dps, partito democratico dei socialisti, Djukanovic, dopo essere già stato sei volte primo ministro e una volta presidente, sostituirà l’alleato Filip Vujanovic.

Il Montenegro ha votato il 15 aprile per la prima volta dopo l’adesione all’Alleanza atlantica e per la terza volta da quando lo Stato è diventato indipendente nel 2006. Ora il vecchio-nuovo presidente promette che lo condurrà anche «ad essere un membro effettivo dell’Unione Europa».
Djukanovic è stato assente per due anni dalla scena politica balcanica, che ha però saputo influenzare per oltre un quarto di secolo. Aveva promesso di ritirarsi nel 2016, quando le elezioni parlamentari furono messe a rischio da un presunto golpe filorusso che tentava di prevenire l’ingresso del Montenegro nella Nato. Poi, per quello che ha definito “senso di responsabilità”, Djukanovic ha deciso di candidarsi di nuovo lo scorso marzo.

Il candidato indipendente Mladen Bojanic, ex parlamentare supportato dalla maggioranza dei partiti d’opposizione e dal blocco filorusso del Paese, è arrivato secondo con quasi il 34% dei voti. Non è riuscito a porre fine a quello che chiama il “regno del dittatore”. «Il Montenegro ha scelto quello che ha scelto»: ha detto dopo la sconfitta Bojanic, che ha però anche aggiunto che il risultato delle urne è frutto di «ricatti e pressione», che il neoeletto «non è la soluzione, perché è il creatore dell’instabilità e del caos». Rimane in politica con una promessa: «Continuerò a lottare per un Montenegro libero da Djukanovic e dalla sua dittatura». Draginja Vuksanovic, prima donna a correre da candidata per il piccolo partito democratico sociale del Paese, è arrivata terza, con poco più dell’8% dei voti.

Nepotismo, legami con la criminalità organizzata, sistema clientelare, corruzione cronica: sono le quattro colonne portanti del potere di Djukanovic secondo le accuse dei sette candidati che lo hanno sfidato nella campagna elettorale, tutti usciti sconfitti in queste ultime elezioni vinte al primo turno. Secondo il rapporto Freedom House, “Nation in Transit 2018: confronting illiberalism”, pubblicato la settimana scorsa, i diritti democratici e civili a Podgorica, quanto a Belgrado, sono in declino.

Più che elezioni presidenziali, per gli analisti questo è stato un test per confermare il potere personale di Djukanovic e un referendum sull’orientamento europeo del Paese. L’opposizione vuole “ridurci a provincia russa”, ha ripetuto in campagna elettorale Djukanovic, conquistandosi simpatie e voti delle minoranze croate, bosniache e albanesi della nazione. Presentatosi come bastione anti russo in Europa, come alfiere balcanico che volta le spalle al Cremlino agli occhi dell’ovest, Djukanovic ha convinto la popolazione che il Paese alle urne ieri non stava solo scegliendo un presidente, ma una direzione: Ovest oppure Est. E un’orbita: Bruxelles oppure Mosca.

Proprio a Mosca, Putin ha detto pochi giorni fa che l’amicizia tradizionale con il Paese balcanico occidentale è andata perduta: «lo stato attuale delle relazioni tra Russia e Montenegro non corrisponde a quello dell’amicizia fraterna e all’affinità spirituale tra i nostri popoli che dura da secoli». Il presidente neoeletto ha ribadito invece che vuole «relazioni normali con la Russia», ma «se la Russia è pronta ad averle con noi».

Ieri ed oggi, Est ed Ovest nei Balcani: dalla dissoluzione della ex Yugoslavia, alle manovre d’entrata nel blocco dell’Unione Europea. Non aveva neppure compiuto trent’anni quando è diventato il premier più giovane d’Europa. Oggi ne ha quasi sessanta, ma in Montenegro il vecchio volto del potere ha ancora la sua faccia.