«La situazione è rivoluzionaria. Le persone non andranno a lavoro, è cominciato lo sciopero generale». Siamo in Armenia, dove Nikol Pashinyan, leader dell'opposizione, ha dato il via alla disobbedienza civile: «Do l'annuncio dell'inizio della rivoluzione di velluto in tutta la Repubblica, dobbiamo paralizzare l'intero sistema statale, il potere deve andare al popolo. Il premier Serzh Sargsyan deve vedere che non ha alcuna Armenia su cui governare». Nella capitale, Erevan, il traffico è bloccato, le strade del centro occupate, le squadre antisommossa pronte. C'è già sangue: di manifestanti feriti o arrestati a piazza di Francia, Yerevan. Le bandiere che sventolano i manifestanti sono quelle nazionali, mentre si canta: «Un'Armenia senza Serzh».
Chi protesta la chiama «la presa di potere» di Serzh Sargsyan. Superato il limite di due mandati presidenziali, nominato tra i fischi della piazza, con l'appoggio del partito repubblicano al potere, l'ex presidente, dopo un decennio, è diventato primo ministro e rimane ancora al comando del Paese. Dieci anni fa, con il sangue di otto morti negli scontri delle proteste per i brogli elettorali, iniziò la sua presidenza nel 2008. Dieci anni dopo, il suo mandato da primo ministro comincia con arresti e urla che pretendono che vada via. C'è già il filo spinato. Scudi di ferro della polizia. Barricate. Volti arrabbiati della protesta. Per disperderla scie di lacrimogeni piovono dal cielo bianco del Caucaso del sud.
I Sargsyan sono due. Non parenti, ma alleati. Il secondo è Armen Sargsyan, ex ambasciatore in Gran Bretagna, che ha giurato da presidente la settimana scorsa. Sostituirà Serzh,ma avrà un ruolo puramente rappresentativo, dopo gli emendamenti costituzionali approvati nel 2015 con un referendum di transizione da repubblica presidenziale a parlamentare. «Un cambiamento di sistema avvenuto per favorire lui solo: Serzh», criticano gli avversari politici.
Quando l'opposizione è scesa per strada a protestare, il popolo l'ha seguita. Le nuove barricate caucasiche «violano l'articolo 33 sulla libertà di raduno. I manifestanti mettano fine alle azioni illegali per evitare conseguenze indesiderate». È l'ultimatum delle forze dell'ordine. Cinque giorni fa erano centinaia a protestare, adesso sono migliaia. La campagna di «disobbedienza totale» è iniziata, ha detto ancora Pashinyan, del blocco avversario al premier, Elk. Gli armeni sono in strada, da Yerevan fino a Gyumrin. Fino a Vanadzor. Le autorità fanno sapere che i manifestanti «violano la legge sul raduno pubblico», e prenderanno «legittime misure per assicurare il normale funzionamento delle strutture statali». È arrivato già l'appello di Human right watch per non ricorrere alla forza contro chi protesta pacificamente, una «cattiva pratica tradizionale» della repubblica, ma 40 manifestanti e 6 poliziotti sono già finiti in ospedale.
«La situazione è rivoluzionaria. Le persone non andranno a lavoro, è cominciato lo sciopero generale». Siamo in Armenia, dove Nikol Pashinyan, leader dell’opposizione, ha dato il via alla disobbedienza civile: «Do l’annuncio dell’inizio della rivoluzione di velluto in tutta la Repubblica, dobbiamo paralizzare l’intero sistema statale, il potere deve andare al popolo. Il premier Serzh Sargsyan deve vedere che non ha alcuna Armenia su cui governare». Nella capitale, Erevan, il traffico è bloccato, le strade del centro occupate, le squadre antisommossa pronte. C’è già sangue: di manifestanti feriti o arrestati a piazza di Francia, Yerevan. Le bandiere che sventolano i manifestanti sono quelle nazionali, mentre si canta: «Un’Armenia senza Serzh».
Chi protesta la chiama «la presa di potere» di Serzh Sargsyan. Superato il limite di due mandati presidenziali, nominato tra i fischi della piazza, con l’appoggio del partito repubblicano al potere, l’ex presidente, dopo un decennio, è diventato primo ministro e rimane ancora al comando del Paese. Dieci anni fa, con il sangue di otto morti negli scontri delle proteste per i brogli elettorali, iniziò la sua presidenza nel 2008. Dieci anni dopo, il suo mandato da primo ministro comincia con arresti e urla che pretendono che vada via. C’è già il filo spinato. Scudi di ferro della polizia. Barricate. Volti arrabbiati della protesta. Per disperderla scie di lacrimogeni piovono dal cielo bianco del Caucaso del sud.
I Sargsyan sono due. Non parenti, ma alleati. Il secondo è Armen Sargsyan, ex ambasciatore in Gran Bretagna, che ha giurato da presidente la settimana scorsa. Sostituirà Serzh,ma avrà un ruolo puramente rappresentativo, dopo gli emendamenti costituzionali approvati nel 2015 con un referendum di transizione da repubblica presidenziale a parlamentare. «Un cambiamento di sistema avvenuto per favorire lui solo: Serzh», criticano gli avversari politici.
Quando l’opposizione è scesa per strada a protestare, il popolo l’ha seguita. Le nuove barricate caucasiche «violano l’articolo 33 sulla libertà di raduno. I manifestanti mettano fine alle azioni illegali per evitare conseguenze indesiderate». È l’ultimatum delle forze dell’ordine. Cinque giorni fa erano centinaia a protestare, adesso sono migliaia. La campagna di «disobbedienza totale» è iniziata, ha detto ancora Pashinyan, del blocco avversario al premier, Elk. Gli armeni sono in strada, da Yerevan fino a Gyumrin. Fino a Vanadzor. Le autorità fanno sapere che i manifestanti «violano la legge sul raduno pubblico», e prenderanno «legittime misure per assicurare il normale funzionamento delle strutture statali». È arrivato già l’appello di Human right watch per non ricorrere alla forza contro chi protesta pacificamente, una «cattiva pratica tradizionale» della repubblica, ma 40 manifestanti e 6 poliziotti sono già finiti in ospedale.